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GIFFONI EXPERIENCE 2015 - 17.26 luglio

Sezioni e Film

ADAMA

Category: Edizione 2015

Sinossi
Siamo nel 1914. Il dodicenne Adama vive in uno sperduto villaggio dell’Africa occidentale, a ridosso della costa. Al di là, si estende il Mondo dei Respiri, popolato da malvagi spiriti affamati di guerra. Quando Samba, il fratello maggiore di Adama, scompare improvvisamente dal villaggio, Adama decide di partire alla sua ricerca. Accompagnato dapprima da Abdou, un cantore tragicamente lucido, e successivamente da Maximin, un monello di strada che è una sorta di suo doppio in negativo, Adama attraversa l’Europa, stretta nella morsa della prima guerra mondiale: sostenuto dalla forza della disperazione e dalla poesia dell’infanzia, percorre l’inferno del fronte per ritrovare Samba e portare a compimento il proprio viaggio iniziatico.

Titolo Originale ADAMA
Categoria In concorso
Sezione Elements +10
Tipologia Animazione, Lungometraggio
Anno di Produzione 2015
Durata 82'
Nazionalità Francia
Regia di Simon Rouby
Soggetto di Julien Lilti
Sceneggiatura Julien Lilti, Simon Rouby
Montaggio Jean-Baptiste Alazard
Suono Yan Volsy
Musiche Pablo Pico
Interpreti principali Azize Diabaté (Adama)
Oxmo Puccino (Djo)
Pascal N’Zonzi (Abdou)
Jack Amba (Samba)
Prodotto da Philippe Aigle, Séverine Lathuilliere
orario ingresso

simon rouby reg OK

Simon Rouby
Nato nel 1980 a Lione, in Francia. Dieci anni fa, ha mosso i suoi primi passi nel mondo dell’arte, come creatore di graffiti. In seguito si è dedicato ad altre forme d’arte, come la pittura e la scultura. Sulla base di questa formazione, ha studiato regia cinematografica prima alla scuola d’animazione Gobelins di Parigi, poi al CalArts (California Institute of the Arts) di Los Angeles. Ha diretto i cortometraggi d’animazione BLIND SPOT (2007), THE OMEN (LE PRÉSAGE, 2007), LA MARCHE (2010). ADAMA è il suo primo lungometraggio d’animazione.

Dichiarazioni del regista
“Sono cresciuto in un quartiere dove, fuori dai palazzi, si mescolavano diverse comunità. Uscivo con gli algerini, ma gli algerini non uscivano con i turchi. Il mio migliore amico era cresciuto in Madagascar. Ho giocato a pallacanestro con i miei compagni di scuola zairesi. Eravamo divisi in tre categorie: ‘francese’, ‘nero’ e ‘arabo’. Tutto mi sembrava perfettamente normale.

“Più tardi capii che non tutti i quartieri erano come il mio. Quando per me giunse il momento di andare al liceo, i miei genitori falsificarono un indirizzo, e così ho potuto frequentare un istituto più ‘idoneo’ e studiare latino e tedesco.

“In contatto con due mondi diversi, non stavo al passo né con l’uno né con l’altro. Da una parte, ero l’unico della mia classe ad ascoltare hip hop, a frequentare i breakdancers davanti all’Opéra di Parigi e a uscire con i graffitari di Mermoz-Pinel e di Saint-Priest. Ma dall’altra parte, quando il lungo braccio della legge ci si è avvicinato troppo a causa dei treni su cui avevamo graffitato, sono riuscito, diversamente da loro, a rifugiarmi nella scuola d'arte.

“Da lì, la ‘fortuna’ mi ha presto portato in Africa. Ho avuto la sensazione che qualcuno mi avesse mandato lì per farmi capire quanto ero influenzato dalla cultura africana, quanto i miei movimenti artistici preferiti erano radicati in una canzone che aveva attraversato l’Atlantico e il Mediterraneo, dando vita al gospel, al blues, al reggae e al rap, prima di trasformarsi in esplosioni di vernice sui muri di New York e poi della mia città.

“Quando sono tornato dal mio viaggio in Africa, ho riscoperto il mio mondo. In metropolitana, ho potuto spiegare la differenza tra un wolof e un fulani, tra un accento camerunese e uno delle Indie Occidentali. Sono venuto a conoscenza dei viaggi che questi popoli, i loro genitori o i loro nonni avevano compiuto per raggiungere l’Europa. Da allora, ho tenuto in serbo in un angolo della mia mente l’idea di portare sullo schermo il trauma di un uomo che affronta da solo questo complesso mondo moderno.

“Questa è l’ottica che ho scelto per il viaggio di Adama. Sotto forma di un racconto iniziatico, il film narra il suo passaggio all’età adulta, il modo in cui scopre la sua unicità, la sua identità, ma anche ciò che lo lega a tutti gli altri, la sua vera umanità. È l’esplorazione soggettiva del nostro mondo da parte di un bambino che viene da ‘un’altra parte’. Un mondo che è allo stesso tempo malato e autodistruttivo, ma anche terribilmente bello e toccante. Adama assume la capacità di confrontare il mondo che egli scopre con il proprio e, di fronte a questa scelta, deve affermare le proprie origini e diventare un uomo.

“È il desiderio di raccontare il risveglio di Adama che mi ha spinto per più di cinque anni a utilizzare tutte le mie risorse per portare a compimento questo progetto. Ho sentito il bisogno profondo di mostrare agli altri questa nobile Africa di cui nessuno mi aveva mai parlato, per rendere omaggio agli uomini e alle donne che nel corso degli anni hanno intrapreso il lungo viaggio verso nord, in cerca di una vita migliore, come soldati o come operai.

“ADAMA si svolge in un determinato periodo della Storia, ma non è un film storico. Per me, ciò che importa è il riverbero contemporaneo dell'avventura di Adama.

“ADAMA è un’avventura pensata per essere fortemente soggettiva. L’animazione ha la capacità di legare gli spettatori alla dimensione più intima di un personaggio, di rendere percepibile il cambiamento della prospettiva di Adama sul mondo che lo circonda. La sceneggiatura ci consente di vedere attraverso i suoi occhi un mondo che attraversa i cambiamenti operati dalla prima guerra mondiale e che alla fine ha dato origine alla società di oggi.

“Vedo l’animazione come un linguaggio molto ricco, e non ho mai voluto privarmi di qualsivoglia parte del suo vocabolario per scegliere di fare ‘un film in 2D’, ‘un film in 3D’, o un ‘film dipinto’. Dal 3D alla fase del painting a quella del modelling, esiste una vastissima gamma di stili grafici. Soprattutto, voglio che le immagini suonino vere, vibrino di senso.

“Fino a oggi, una costante della mia carriera è stata quella di combinare liberamente tecniche diverse. Inizialmente c’è un atto spontaneo, che diventa poi un atto deliberato e consapevole, sfociando infine in uno stile particolare e in un metodo pratico ed efficiente di produzione. Avendo tutto questo in mente, il comune denominatore è il realismo: disegno d’osservazione, diario di viaggio, scultura di modelli, scansione 3D, e così via. Si tratta sempre di catturare il mio ambiente. I volti sono una illustrazione perfetta del mio approccio: fin dall’inizio, volevo creare dei personaggi d’argilla, per animare volti umani estremamente ricchi seppure ancora imperfetti. Per modellarli, mi sono rivolto allo studio di Michel Lauricella, un grande artista, un mio insegnante di disegno. Già quando ero studente, la scansione 3D era diventata più accessibile e diffusa, e lo studio un crocevia tra i metodi della vecchia scuola e la tecnologia d’avanguardia: modellazione in creta, calchi in gesso, scansione laser e ricostruzione fotogrammetrica. Questa comunione di vecchio e nuovo mi ha consentito di portare le mie sculture sullo schermo così com’erano, e poi di portarle in vita, mantenendo la forza della materia con la quale erano state realizzate. Tali questioni tecniche sono cruciali nell’animazione, perché emergono nelle decisioni che formano il linguaggio usato sullo schermo. Ho sempre tentato di trovare il miglior equilibrio possibile tra semplicità di esecuzione – attuata attraverso nuove tecniche o metodi tradizionali – e la massima coerenza possibile tra forma e contenuto.

“Il cuore della squadra del film era già sul posto: Alexis Liddell, Louis Tardivier, Pierre Ducos, Jeanne Irzenski, tutti diplomati alla scuola Gobelins di Parigi per le arti applicate, la stampa e i media digitali, sono artisti versatili, e sono stati coinvolti totalmente nel progetto. Più tardi, Bénédicte Galup si è unita a noi come aiuto regista. Con la sua esperienza nei lungometraggi, ci ha aiutati a dare nuovo respiro e nuova vita alla sceneggiatura. Nel 2011, ho diretto un test d’animazione di tre minuti, per il quale il gruppo ha lavorato nelle condizioni di produzione di un lungometraggio. Questo ci ha permesso di provare l’efficacia del nostro approccio fondato sulla mescolanza di metodi, in vista dei vincoli di tempo e di budget. Sono stato così in grado di capire se le mie intenzioni visive e narrative fossero realistiche in relazione alle scadenze e alle risorse finanziarie di questo film, che io e il produttore abbiamo sempre voluto mantenere su livelli ragionevoli. Nonostante le sue imperfezioni, questo pilota ha rappresentato un importante passo in avanti, che mi ha condotto allo stile grafico del film ultimato.

“Mentre stavo realizzando il film, ho contattato l’artista Oxmo Puccino per chiedergli di prestare la sua voce al personaggio di Djo. Questo musicista originario del Mali, trasferitosi in Francia alla stessa età di Adama, ha dato subito un ricco contributo al progetto, e la nostra collaborazione si è rivelata più fruttuosa di quanto previsto. Abbiamo usato la musicalità dei diversi accenti francesi come base dell’identità vocale dei personaggi: le sottili differenze tra i Paesi d’origine, la spontaneità di Maximin, e così via. Oxmo mi ha anche presentato il violoncellista Vincent Ségal e il suonatore di kora Ballaké Sissoko, il cui duo ‘Musica da Camera’ era già uno dei miei riferimenti principali per il tema musicale del film, e che hanno deciso di lavorare al progetto.

“Come in tutti i miei film precedenti, anche in questo ho dato grande importanza all’atmosfera. Io la uso nella mia messa in scena per creare uno strato ulteriore, quasi subliminale, di ritmo: il rumore dei passi, il suono del vento, il rapporto tra il grido stridente degli uccelli e il fischio delle conchiglie, le percussioni e le esplosioni, il sibilo delle grotte risentito nei tunnel della metropolitana in costruzione. Questi suoni creano significati, e aiutano Adama a orientarsi, tanto con lo sguardo quanto con l’ascolto. Sono come tanti presagi che lo guidano nel suo viaggio iniziatico, questo rituale non tradizionale da inventare.

“Quando scrivo e progetto le scene di un film, le immagini mi vengono subito incontro, avvolte in suoni, impressioni ed emozioni. Quando arriva il momento di fare il film, cerco di catturare queste immagini mentali e di trascriverle il più fedelmente possibile. Purtroppo, quando tento di afferrarle, improvvisamente non sembrano più così tangibili. Acquerello? Pittura? Scultura? Film? Disegno? Che cosa fare? Come possono essere trascritte queste immagini? È qui che entra in gioco la ‘tecnica’. Dapprincipio un ostacolo, essa diventa un alleato. Per essere il più vicino possibile a queste sensazioni visive, procedo per eliminazione, per sottrazione: creo un’immagine su carta, o sullo schermo del computer, e poi la confronto con ciò che sto cercando. Se è necessario, la modifico o la correggo. Se sembra vera, se suona vera, continuo su quella strada. Ecco come i test d’animazione realizzati nella fase di sviluppo del film mi hanno permesso di definire le mie scelte estetiche e narrative”.

produzione
Naïa Productions
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Pipangaï
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France 3 Cinéma
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Albatros Productions

distribuzione internazionale
festival contact
Picture Tree International GmbH
Zur Börse 12, 10247 Berlin - Germany
phone +49 3042082480
mobile +49 15154458921
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www.picturetree-international.com