Axelle Ropert
Axelle Ropert ha diretto tre lungometraggi: THE WOLBERG FAMILY (2009) che è stato nominato per il premio Caméra d’Or al Festival di Cannes 2009, MISS AND THE DOCTORS (2013) che ha vinto il Best New Director Award al Vancouver International Film Festival 2014 e THE APPLE OF MY EYE (2016) che ha partecipato al Locarno Film Festival 2016. È anche sceneggiatrice per altri registi come Serge Bozon, Patric Chiha o Blandine Lenoir. Dal 2018 i suoi film e altri lavori sono stati oggetto di retrospettive in prestigiosi festival internazionali in Argentina, Svezia e Spagna.
Dichiarazione della regista
“All'origine del film c'è un argomento che mi sta molto a cuore: il divorzio, ma raccontato dal punto di vista del bambino, e non dei genitori. Appartengo a una generazione, quella di chi era adolescente negli anni '80, i cui genitori hanno iniziato a divorziare in massa. Fu un vero fenomeno sociologico. I nostri nonni sono rimasti insieme per tutta la vita, i nostri genitori si sono separati... Faccio parte di questa generazione che si è trovata di fronte a questa rottura, una rottura che rende le storie familiari molto diverse da quelle del modello precedente. [...] Quando stavo scrivendo il film, ho scoperto l'esistenza di molti forum in cui i figli di genitori divorziati, ora adulti, condividevano le loro esperienze. È stato molto commovente rendersi conto che, qualunque sia la classe sociale, i traumi da abbandono, la sensazione di un mondo lacerato, di distruzione e di tristezza persistono per tutti anche nell'età adulta. [...] la fine dell'amore familiare è un tema enorme che è difficile da affrontare soprattutto se si vuole evitare di fare un film che faccia sentire i genitori in colpa. Sembra impossibile filmare una separazione senza filmare la violenza tra i genitori. […] Abbiamo una visione leggermente distorta degli adolescenti perché negli ultimi anni i film si sono concentrati su adolescenti naturalistici, muti, aggressivi, duri... Io invece volevo ritrarre una ragazza che ama al punto da perdere la testa... Niente mi lacera di più nella vita delle persone molto gentili che sai saranno schiacciate dall'implacabile muro della realtà. E penso che Solange abbia una grande traiettoria nel film: dal luminoso candore dell'inizio all'oscurità finale... Volevo raccontare questo: la brutale perdita dell'innocenza, l'ingresso nell'età adulta che inevitabilmente implica l'apprendimento della durezza. Non so se PETITE SOLANGE sia un film tenero. Alla fine, penso che sia un film piuttosto violento che indossa una maschera: sta a noi decidere cosa c'è dietro la maschera. E gli spettatori hanno tutti una propria opinione sulla scena finale nel giardino: alcuni la trovano tenera e luminosa, altri molto dura e oscura... E io trovo questo fatto affascinante. [...] Esiste anche un altro riferimento geografico nel film: l'Italia. Perché l'Italia è la patria naturale del melodramma! E un’altra fonte di ispirazione per Petite Solange è Incompreso di Luigi Comencini, di cui nel film si vede un poster. C'è qualcosa nella luce, nella crudeltà, nel lirismo di un certo tipo di musica italiana, e anche nella dolcezza dell'implacabile corso delle cose.”