Mercoledì, 06 Maggio 2020 10:56

Oggi su Il Corriere del Mezzogiorno il contributo del direttore Gubitosi: “Giffoni si deve fare più e meglio di prima”

Pubblicato sull'edizione odierna de Il Corriere del Mezzogiorno un contributo a firma del direttore di Giffoni OpportunityClaudio Gubitosi. L’editoriale, dal titolo “Giffoni si deve fare più e meglio di prima”, vuole far riflettere sul ruolo centrale dei grandi eventi (come il Festival appunto) per sostenere la cultura e l’economia della regione Campania. La lettera di Gubitosi vuole essere una risposta all’articolo del 30 aprile scorso, a firma del direttore de Il Corriere del Mezzogiorno Enzo D’Errico, intitolato “Un’estate solidale per salvare l’arte”.

Ecco di seguito il testo dell'intervento di Gubitosi:

“Caro direttore,

Mettere al centro del dibattito il futuro della cultura, mentre viviamo ancora questo momento così denso di incognite, è una nobile e apprezzabile iniziativa. Come lei sa, non mi sono mai sottratto al confronto, anche quando le posizioni sembrano essere divergenti, almeno per alcuni aspetti, come in questo caso.

Ragioniamo per punti. Inizio da una riflessione che credo sia centrale. Lei dà per scontato che Giffoni non si farà ed invita la Regione Campania a trasferire i finanziamenti a noi destinati ad altre organizzazioni della cultura. In verità, non mi sembra che io abbia mai dichiarato l'annullamento o il rinvio di un evento mondiale che giunge proprio quest'anno alla cinquantesima edizione. L'iniziativa, ideata mezzo secolo fa in un paese della nostra Campania, è esattamente un progetto «nato in loco» e non mi pare in Svezia. È anche spettacolo, intrattenimento, cultura ed è una delle più innovative, dinamiche e conosciute aziende culturali d'Italia. Limitatamente al Festival di luglio, ho avuto il privilegio di avere premi Nobel e premi Oscar, mai considerati come star. Da noi i talenti si confrontano da sempre con le uniche vere star: i Giffoners e le loro famiglie. Non posso nasconderle, perciò, la delusione nel ritrovarmi dentro una proposta che dovrebbe cancellare d'ufficio edizione e finanziamenti, non di un festival, ma di uno dei pochi, veri eventi nazionali ed internazionali che la Campania ha nel suo portfolio. Mi preme dirle, volendo considerare quanto la cultura sia in ginocchio, che la sua proposta creerebbe un effetto domino ingiusto ed inutile di cui bisogna tener conto.

Parto ancora una volta da Giffoni e da questa azienda culturale che nel 2019 e inizio 2020 ha già realizzato oltre 500 attività in Campania, in Italia e all'estero. Qui trovano casa e lavoro: 6 dipendenti fissi, 120 giovani contrattualizzati a progetto per un intero anno, circa 500 giovani del posto o comunque campani che sono indispensabili per far muovere la macchina del festival di luglio. L'organizzazione degli eventi di Giffoni comporta il coinvolgimento di tante altre realtà e professionalità, come tecnici delle luci, fonici, impiantisti, animatori, operatori cinematografici, musicisti, artisti di strada, autisti, addetti alla sicurezza e tante piccole e medie aziende del territorio che vivono grazie alle nostre attività. Come vede, la solidarietà sociale alla quale lei fa riferimento è già fortemente presente. La risposta ad un sistema allo sbando, non può essere la cancellazione di Giffoni con un colpo di spugna e né si può dire con leggerezza: quest'anno non lo fate, poi vediamo. Io sono dell'idea che si deve fare Giffoni più e meglio degli altri anni. Abbiamo un dovere verso questa straordinaria generazione che ha pagato il prezzo più alto della quarantena.

Abbiamo un'ambizione. Sappiamo già che molte attività sono state cancellate. Da oggi a settembre ci saranno solo Giffoni ed il Festival di Venezia. Mi sembra stimolante che la Campania possa essere la prima regione d'Europa a segnare la ripresa di una nuova socialità, il ritorno del cinema, il rilancio della cultura. Su questo credo che potrei trovare d'accordo il Presidente Vincenzo De Luca e il Ministro Dario Franceschini. Abbiamo sufficienti capacità creative per produrre un nuovo Giffoni in un mondo nuovo, miglior testimonial della Campania delle idee, dell'innovazione, ancor di più oggi, dopo le spinte depressive del lockdown. Lo sguardo della mia visione sarà molto più centrato sul coinvolgimento di tutte quelle realtà di arte diffusa che sono espressione della Campania.

Noi siamo percettori di finanziamenti pubblici e di risorse private. Sappiamo benissimo che i fondi pubblici rappresentano un bene comune. Pur essendo un'istituzione privata, interpretiamo il nostro ruolo con un'etica che è tutta pubblica, restituendo ai contribuenti quei valori che tutti ci riconoscono: benessere e felicità, oltre alla gratuità di ogni attività, in aggiunta all'indotto economico che ha consentito e consente a un vasto sistema territoriale di svilupparsi, di determinare crescita, di generare occupazione, fiducia, speranza. Giffoni si farà, partendo dal rispetto totale delle regole sanitarie. Tra qualche settimana invierò alla Regione ed al Comune di Giffoni Valle Piana i documenti ed i progetti con le attività programmate ed i protocolli anti-Covid per la sicurezza delle persone e dei luoghi. Appena arriverà il parere favorevole presenterò Giffoni 2020. Che sarà rivoluzionario”.

Qui invece l’editoriale del direttore de Il Corriere del Mezzogiorno, Enzo D’Errico:

Dobbiamo a Mimmo Paladino, credo, il simbolo più potente di questo tempo doloroso. È il Cristo «spezzato» che ieri, sul Corriere della Sera, illustrava una splendida lettera indirizzata da Sandro Veronesi a Papa Francesco. Nella missiva, redatta a nome di un gruppo di artisti, lo scrittore ringraziava il Pontefice per la preghiera dedicata, lunedì scorso, a un mondo che sembra scomparso nel buio dell’emergenza. Lo so, di immagini ne abbiamo viste tante in queste settimane e molte di esse resteranno incise nella memoria: la fila degli automezzi dell’Esercito che a Bergamo trasportano le bare, l’infermiera accasciata su una scrivania dopo una giornata di lavoro, gli anziani agonizzanti nelle terapie intensive o nelle Rsa. Ma parliamo di fotografie. E le fotografie ritraggono il visibile. A meno che non si tramutino in arte, come ci insegna un altro grande Maestro della nostra terra: Mimmo Jodice. Alla cronaca tocca restituire, con parole e immagini, un’istantanea della realtà. L’arte, invece, ha il potere di giungere là dove parole e immagini sbiadiscono per lasciare spazio alla materia informe dei sentimenti. Questa landa nebbiosa che ci portiamo dentro è il fulcro di ogni narrazione artistica. Ecco perché il Cristo «spezzato» di Paladino non è soltanto un’opera di poderosa bellezza ma anche una testimonianza profondamente «politica», poiché riassume l’indicibile spirito di un tempo dove la fragilità umana coincide con quella divina e la fede — che sia ideologica o confessionale — si frantuma sotto il peso di una minaccia arcana, emblema della nostra irrimediabile finitezza. Possiamo, quindi, definire l’arte come la religione laica di una comunità: giusto? Allora qualcuno ci spieghi il motivo per cui è stata bandita da ogni discorso. Sembra quasi che la pallida vita cui stiamo andando incontro dopo l’esilio in casa possa farne a meno. Certo, dal 18 giugno potranno riaprire i musei e di ciò va dato atto al ministro Franceschini che, da solo, si è battuto per raggiungere questo risultato. Ma non esistono soltanto i musei.

Quando riapriranno i teatri? Quando potremo tornare al cinema? Quando riascolteremo la musica in una sala? È ovvio, nessuno pensa di ricominciare come se nulla sia accaduto: saranno necessarie nuove misure per mantenere il distanziamento sociale. Ma c’è qualcuno che se ne sta occupando? A guardare i fatti, sembrerebbe proprio di no. Più o meno tutti sanno quando e in che modo potranno riprendere la loro attività. Tutti, tranne chi alberga in questa galassia dimenticata. Eppure parliamo di una vera e propria fabbrica che, soltanto nel Mezzogiorno, offre lavoro a migliaia e migliaia di persone, molte delle quali rischiano di finire in povertà. Reggeranno forse i dipendenti degli enti lirici e delle altre istituzioni culturali che hanno ottenuto la cassa integrazione. Ma gli altri? Gli attori, i tecnici, gli scenografi, i musicisti, i danzatori, insomma il popolo delle partite Iva che si muove davanti e dietro le quinte dello spettacolo come farà ad andare avanti? Qualcuno forse ritiene che un fonico o un attrezzista sia meno importante di un operaio o di un impiegato? Si tratta di gente che chiede un orizzonte, perché nulla è peggio dell’indifferenza.

Aveva ragione Roberto Andò quando l’altro giorno sosteneva in un’intervista a Enrico Fiore sulle nostre pagine che, al pari della Chiesa, l’arte è ormai priva dei suoi luoghi di culto. Ma è bastato che i vescovi protestassero contro il prolungamento del divieto a celebrare messa, per far sì che il Governo cercasse una soluzione. Anche gli artisti più volte hanno alzato la voce senza che nessuno, tuttavia, muovesse un dito. L’unico che ha dedicato loro una preghiera è stato, appunto, Papa Francesco. In sua assenza, probabilmente, li avrebbero sepolti ancora in terra sconsacrata, dopo averli lasciati morire di fame. Attenzione, però: le Regioni, che tanto terreno hanno conquistato durante l’emergenza, non si sono comportate in maniera granché diversa dall’esecutivo nazionale. È da lì, invece, che potrebbe arrivare una prima risposta. Molte di esse, solitamente, finanziano con un bel po’ di milioni le manifestazioni culturali che scandiscono le nostre estati. Pensiamo, per esempio, ai soldi stanziati in Campania per il Teatro Festival, Un’Estate da Re, il festival di Ravello, Giffoni, oltre che per sagre e festicciole paesane. Perché non indirizzare quei finanziamenti a progetti nati in loco, a spettacoli che arruolino tecnici, attori e musicisti del territorio, qualora fosse possibile metterli in scena? Naturalmente bisognerà assicurare un buon livello qualitativo ma sono sicuro che nessuno griderà allo scandalo se per un anno faremo a meno delle star internazionali.

Spetterà ai direttori artistici aguzzare la fantasia e regalare, se la situazione sanitaria lo permetterà, un’estate di «arte solidale». Parliamo, guai a dimenticarlo, di fondi pubblici che, come tali, vanno spesi per il bene comune. In un mondo che non è lo stesso di due mesi fa, per un pubblico che non è lo stesso di due mesi fa. Quelle rassegne, oggi, possono diventare i respiratori automatici capaci di restituire fiato a un intero comparto produttivo, essenziale per scongiurare la nascita di un «darwinismo» culturale che offenderebbe lo spirito con il quale un intero Paese ha attraversato due mesi di isolamento. Al contrario, è indispensabile offrire speranza, come suggerisce il meraviglioso Cristo «spezzato» di Mimmo Paladino. Mentre il virus continua ad allungare la sua ombra, non esiste modo migliore di spendere i soldi dei contribuenti. Se qualcuno ha un’idea migliore, poi, si faccia avanti.

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