Giovedì, 27 Luglio 2023 18:12

Molinari ai giffoner: “Investire sulla lettura e sullo studio”. Per il Direttore di Repubblica, “Giffoni è una favola bellissima”

È una favola bellissima. Grazie Giffoni”: Maurizio Molinari incontra i giffoner della Impact! dopo aver visto il video-racconto del Giffoni Film Festival. Il direttore di Repubblica affronta con i giovani diversi temi: dalla storia di Repubblica all’evoluzione del giornalismo, senza risparmiarsi su fatti e polemiche recenti. “Vi ringrazio perché l’emozione più grande di un giornalista è incontrare chi legge”.

Il primo dei temi sottoposti al direttore di Repubblica, infatti, è il caso generato dall’articolo di Alain Elkann pubblicato su Repubblica dal titolo “Sul treno per Foggia con i giovani Lanzichenecchi”. Molinari è chiaro, a iniziare dalla premessa: “I giornali sono fatti di discussioni – dice - Più le obiezioni che un direttore riceve sono dure più lo aiutano a lavorare. Se tutti dicono ‘sì’ vuol dire che nessuno ti aiuta. Un giornale è un prodotto intellettuale di una comunità intellettuale, che all’interno ha una molteplicità di opinioni. Il compito di un giornale, quindi, è rappresentare più opinioni e discuterle, ma sempre attraverso una catena di comando”. Ovvero, “il compito del direttore è ascoltare tutte le opinioni e alla fine decidere cosa fare”. Quanto all’articolo di Elkann, “quello non era un articolo – afferma Molinari - ma un racconto. L’articolo è tenuto a descrivere la realtà, il racconto no. È stato un racconto letterario controverso. La scuola anglosassone insegna che, più i contenuti intellettuali sono controversi e più fanno discutere, più sono positivi. Io credo che la discussione che ha innescato sia stata profondamente positiva”. La discussione, aggiunge “è sul confronto fra generazioni”. E, in merito all’autore, precisa: “Io non ho mai visto e fatto attenzione al cognome delle persone. Le persone contano per quello che fanno e che dicono, e contano per chi sono. Non per la famiglia di origine, il paese di origine, la religione, la fede”. E ancora: “Quello era un racconto controverso, è vero, e la scelta che ha preso il direttore è di pubblicare un racconto controverso. Potevo farlo o non farlo. Ho scelto perché pensavo che la controversia fosse positiva. La controversia c’è stata, dirompente, e in qualche maniera ha testimoniato la validità della pubblicazione”. Quindi, la morale: “Ragazzi, non partite mai dal cognome di una persona che giudicate”.

Sul rapporto con la famiglia Agnelli, chiarisce: “Da 26 anni lavoro con la famiglia Agnelli. Non ho mai avuto dalla famiglia Agnelli un singolo intervento su una singola questione di contenuti. La libertà di azione che mi hanno dato, in ruoli diversi, è sempre stata totale”. Del resto, dice, “l’attenzione della famiglia è sempre stata per la solidità economica. Questo ha a che vedere con la particolarità del loro modo di essere editori”. Insomma, “il problema è come l’editore fa l’editore, ci sono quelli intrusivi e quelli non intrusivi”.

Molinari ricorda anche il rapporto con il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari.Fino a quando non ci ha lasciato – racconta - ci incontravamo una volta alla settimana, il giovedì pomeriggio”. E riferisce di alcuni “passaggi chiave: l’idea del giornale come vettore di innovazione. Quando lui crea Repubblica, nel ’76, Repubblica è un nuovo modello di giornale, nella struttura, in come è pensato, per quello che scrive. Soprattutto, punta a diventare in Italia un vettore di trasformazione e innovazione del Paese, della sinistra in particolare. E punta soprattutto sulle riforme economiche. La cosa fondamentale che lui ha passato a me è che questa missione è desinata a continuare. Ci sono, di stagione in stagione, delle sfide in cui Repubblica è chiamata a innovare e non deve paura di innovare. La frase che mi diceva è: ‘Maurizio, Repubblica guida sul sentiero dell’innovazione, perché se non lo facciamo noi non lo fa nessuno’”. Il direttore ricorda anche che Scalfari ha vissuto il passaggio a internet, che “chiamava il giornale dei bottoni ma condivideva profondamente questa trasformazione”. La lezione è chiara: “Continuare a innovare accettando, però, le nuove tecnologie”.

Tanti altri i temi al centro della lunga chiacchierata. A iniziare proprio dai nuovi modi per veicolare le notizie: “Il punto vero è dove devono essere le notizie per coinvolgere e come descriverle - spiega - Le notizie restano importanti ma ciò che cambia sono le piattaforme tecnologiche. Io credo che queste non si annullino l’un l’altra ma siano destinate a coesistere”. Quanto a Repubblica e al gruppo Gedi cui Repubblica appartiene, Molinari spiega che “va nella direzione di mantenere la carta ma di investire su digitale e social. L’obiettivo sono gli abbonamenti digitali. Se arrivi, come il New York Times, a coprire i costi con il digitale, il risultato è straordinario. Se il numero e il valore degli abbonamenti digitali sono tanto alti – dice - da coprire il budget del giornale, la pubblicità non serve più. Questo è quello che noi stiamo cercando di fare”. Tuttavia, non manca la consapevolezza che “la trasformazione digitale comporta investimenti molto molto alti” perché “ogni sei mesi c’è una sfida diversa da affrontare”. Ed è chiaro che non tutti i gruppi e gli editori hanno la forza economica per un tale cambiamento. Eppure, “credo – aggiunge - che il nostro interesse sia ora che tuta l’editoria diventi digitale, per poi ricominciare la competizione. Non è sano che alcuni giornali siano indietro”. La soluzione? “Un grande patto editoriale tra editori italiani per condividere le tipologie di presenza sul digitale sulla base di chi ha più esperienza per portare tutti allo stesso livello”.

Un altro punto al centro dell’incontro è “il tema delle notizie aggressive, cosa sulla quale bisogna lavorare molto, cioè sulla maniera nella quale si dicono e si raccontano le cose”. Molinari, però, chiama in ballo la “responsabilità dei lettori. Il punto è come si legge. Alle nostre spalle – spiega - ci sono generazioni che hanno imparato a leggere sulla carta e poi sono arrivate al digitale. Cosa significa? Che per comprendere le cose serve tempo, per assimilare un concetto serve tempo, per capire se quell’articolo piace o no bisogna arrivare fino alla fine. cioè, la lettura significa tempo e la conoscenza arriva alla fine della lettura. Oggi, la nuova generazione salta questo passaggio e di forma sulla lettura digitale dive il fattore tempo non c’è. L’attenzione media di una persona che va sul sito è una schermata o al massimo due. Il tempo di lettura è sotto i 30 secondi per la stragrande maggioranza”. Quindi, “qui c’è un problema: chi legge cosa assimila? E quanto tempo dedica a pensare su quel contenuto’”. Soluzioni? Allora il mio suggerimento è che bisogna prima avere il background della lettura su carta e poi arrivare alla lettura sul digitale. Cioè bisogna avere gli anticorpi verso tutto quello che arriva”. Il messaggio è chiaro: “Investire sulla lettura e sullo studio perché lo studio alimenta la conoscenza e la conoscenza si basa su un concetto, la prudenza del sapere”.

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