Giovedì, 27 Luglio 2023 12:29

La famiglia patriarcale e l'ansia di cambiamento: Elaha lotta contro convenzioni e pregiudizi

La ricerca della libertà, la scoperta della propria sessualità e la stratificazione patriarcale della propria società. Questo filo - a volte fragile, altre volte fortissimo, radicato e che non può essere spezzato - regge la vita, la quotidianità, le amicizie, la famiglia, il rapporto di coppia di Elaha. Il nome della protagonista è anche il nome del sesto film in concorso per la categoria Generator +18. La protagonista è una giovane donna curdo-tedesca divisa tra l'amore incondizionato per la sua famiglia e le sue aspirazioni. Le piace divertirsi con le sue amiche e prendersi cura del fratello minore ma non è semplice combattere il patriarcato ed essere, allo stesso tempo, la figlia perfetta. "Elaha" propone un viaggio psicologico sull'emancipazione. "Solo affrontando la realtà possiamo rimanere fedeli a noi stessi". È questo il messaggio della regista Milena Aboyan ed è questa la consapevolezza di tanti giovani giurati che hanno affollato la sala Galileo. Non solo la libertà sessuale: il film non è solo questo ma tanto altro. È soprattutto la paura di essere giudicati e di uscire fuori dalla comunità, espulsi. Tutte le ragazze ne parlano ma tutte hanno paura di essere scoperte. Ed Elaha, nonostante il suo forte desiderio di emancipazione, il suo lavoro part time in una lavanderia, i colloqui di lavoro ai quali partecipa, non riesce a sottrarsi alla tradizione, alle convenzioni delle quali si nutre la sua società patriarcale. Arriva a dire alle amiche: "Perché la nostra vagina non è tedesca?". Le rispondono: "Tutto il nostro corpo è curdo, il nostro sangue è curdo". Non è solo una risposta di tipo anatomico ma sociale e culturale. Elaha che non può neppure liberamente ballare ad un matrimonio perché le dicono "più contegno", Elaha che riceve "un controllo" dal fidanzato per capire se nel frattempo sia stata con altri uomini e perché abbia deciso di ballare senza autorizzazione, è davanti ad un bivio. Decide di fare sesso ma poi è assalita da una voce che non è tanto il senso di colpa quanto il richiamo delle tradizioni. Pensa ad un intervento per "la ricostruzione della membrana", non ha soldi, chiede aiuto, un consultorio sarebbe disposto ad aiutarla gratuitamente ma al momento del colloquio le viene posta pure una domanda: "Sei consapevole, sai a cosa andrai incontro? Il tuo fidanzato si preoccupa della propria verginità?". La risposta: "Amo la mia famiglia e le tradizioni ma temo di essere espulsa pur non condividendone le regole". Affronta la madre. Una domanda: "Se non avessi più la mia virtù tra le gambe?". La risposta: "Preferirei morire". Elaha perde il controllo: autolesionismo, ospedale. Poi ricomincia la normalità, la lotta quotidianità con le sue domande. Una le dà la motivazione giusta. È della propria insegnante, incinta: "Prima mi sentivo osservata e controllata. Ho smesso di sentirmi giudicata quando ho chiesto a me stessa: sei la donna che volevi essere?". È l'interrogativo che le cambia la vita e che orienta le sue nuove scelte. 
"Per tutta la durata del film ho provato angoscia e anche fastidio, da donna - dice una giurata - Ho notato un utilizzo forte di un colore verde acqua e poi il rifiuto di un vestito con lo stesso colore. Quando inizia a sentirsi libera di esprimere se stessa al massimo, il colore è cambiato, andando verso l'uso del celeste". "Hai visto giusto - le ha risposto la produttrice - questo colore è tipico della cultura curda. Elaha fa un viaggio nella sua cultura e il colore viene modificato in misura proporzionale con il cambiamento che affronta". C'è un motivo per il quale la regista ha acceso i riflettori proprio sulla cultura curda? La risposta: "La regista è armena e si è trasferita in Germania da ragazzina. Con il suo film vuole anche spiegare che all'interno della cultura tedesca ci siano altre culture che non sono più aliene ma parte integrante della cultura di questo Paese. È un film che parla di una cultura specifica ma tutti noi ci imbattiamo in regole che talvolta non condividiamo". 

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