Sabato, 22 Luglio 2023 11:48

La scoperta di sé: umano e non straniero nei luoghi, in famiglia e tra gli amici. A SUMMER IN BOUJAD racconta Karim ai GENERATOR +13

"A Boujad le persone amano le cose che arrivano dalla Francia. Non ne conosco il motivo. Forse semplicemente perché arrivano dalla Francia". L'idea al tredicenne Karim, improvvisato venditore di giocattoli, impegnato ad aiutare il padre che ha pure perso la pensione, la suggerisce Nadia che ha conosciuto in Marocco. Qui si è trasferito con il padre Messaoud per le vacanze, sette anni dopo la morte della madre. Il collegio francese a Casablanca, poi il salto da Parigi a Boujad. Un salto che è quasi nel buio e non solo perché Karim deve innestarsi in una famiglia che gli è estranea (la moglie del padre, il fratellastro, la nuova suocera del padre) ma soprattutto per uno scatto culturale e generazionale, accentuato dalla non conoscenza della lingua araba e drammatizzato dal pensiero ricorrente della morte della madre. Talvolta lo aiuta il linguaggio universale dello sport, del calcio: in strada gioca con gli altri ragazzi. Che però hanno regole, un codice, valori: non sono quelli dei bulli, vietato sopraffare gli altri. Così quando Karim imita il bullo del quartiere, abbassa la gonna ad una ragazza e le butta via il sandalo sferrandole un calcio, viene escluso dal gruppo. Volano gli schiaffi mentre gioca il Marocco: tutti gridano "gol" ma la mamma della ragazza umiliata da Karim si presenta a casa da Messoud e dice che la figlia è stata picchiata. Tutto diventa più duro, difficile, scivoloso e spigoloso per Karim. Mostra segni di ribellione inizia a rubare, compreso il motorino del padre "che ho preso in prestito". Il regista Omar Mouldouira incalza con una domanda che rovescia anche la prospettiva di A SUMMER IN BOUJAD. "E se ci domandassimo quando non ci si sente più estranei?". Il regista chiede quando smettiamo davvero di sentirci stranieri o la nostra prospettiva, e talvolta quella degli altri, semplicemente cambia. Attraverso il film, il cinema, l'arte di guardare, indaga su questa domanda che resta senza risposta. A Boujad le persone non solo amano le cose che arrivano dalla Francia ma rischiano di odiarsi ("Ecco il coltello, fallo figlio mio, uccidimi: la mia vita è piena di errori") e poi si ritrovano, si amano. Padre e figlio si abbracciano senza parlarsi, come spesso hanno fatto, sulla tomba della madre Fatima. E Karim non bussa alla porta di Mehdi, il bullo del quartiere che è andato anche in prigione, ma gli lascia sulla porta di casa una mano che indica "stop". C'è scritto: "Non toccare il mio amico", frase contro il razzismo. A suo modo, in una travolgente estate a Boujad, è stato un amico anche lui.
 
Film in memoria dello zio del regista "perché era come un padre per me e mi ha supportato quando sono tornato in Francia - spiega il regista, presente al dibattito con produttore e distributore - è morto prima che girassi il film e gliel'ho dedicato". Nella scena del cimitero, quando padre e figlio si abbracciano sulla tomba di Fatima, prima moglie e mamma di Karim, compare sulla scena l'amica del ragazzo, che gli aveva insegnato a leggere l'arabo ma che lui aveva picchiato. La domanda di una giurata, Vittoria: rappresenta in qualche modo la reincarnazione della mamma? "Karim non sa ancora amare le donne perché ha 12 anni. L'unica è sua madre - risponde il regista - Non sa accettare la morte della mamma e Nadia è una nemica fino a quando Karim non accetta l'evento luttuoso. Quando si verifica questo passaggio interiore, Nadia può essere potenzialmente la sua fidanzata, in ogni caso una donna non più riconosciuta come nemica". In sala durante il dibattito dei giurati sono emersi anche motivi di discussione relativi alla rappresentazione del mondo arabo soprattutto per le scene di violenza del marito nei confronti della donna, della sua nuova moglie. Il regista risponde innanzitutto che non è sua intenzione rappresentare il mondo arabo come violento perché esiste la violenza in generale, senza nazionalità né caratterizzazione. Inoltre i riflettori del regista non sono puntati sulla violenza del marito ma sulla figura femminile, forte e moderna di sua moglie che affronta il marito con personalità, coraggio e gli dice "non ti vergogni a picchiarmi, non sai neppure chiedermi scusa, pensi di essere un uomo, se mi picchi?". "Ogni film - prosegue il regista - ha un primo, secondo, terzo livello di interpretazione e così via. Quando ho proiettato questo film In Francia, molte donne mi hanno ringraziato perché ho affrontato il problema della mascolinità, che non è arabo ma universale. Karim cerca ancora le regole che governino l'essere uomo. Alla fine lo capiscono sia lui sia il padre. Credo che tutti riescano a cogliere un livello superficiale di interpretazione e uno più in profondità. Ci sono uomini che fanno errori. Accade non perché siano arabi, italiani, francesi ma perché sono uomini". 

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