Lunedì, 25 Luglio 2022 20:00

Il cast de L'Ora: “La mafia non è solo un'associazione criminale, ma un costume mentale”

Che cos'è la mafia? E perché raccontarla da un'angolatura particolare, come quella della redazione de L'Ora, lo storico giornale fondato dalla famiglia Florio, attivo dal 1900 al 1992? A queste e ad altre domande hanno risposto i registi e parte del cast de “L'Ora – Inchiostro contro piombo”, la speciale miniserie tv Mediaset che ha conquistato il pubblico del piccolo schermo e l'interesse dei partecipanti della sezione Impact! di #Giffoni2022. In sala Blu c'erano i registi Piero Messina, Ciro D'Emilio e Stefano Lorenzi, ideatore del progetto, con gli attori Francesco Colella e Maurizio Lombardi, il compositore Bruno Falanga e la line producer Silvia Lodi. Palermo anni Cinquanta. La parola mafia non esiste ancora quando una redazione particolarmente coraggiosa decide di sbatterla in prima pagina grazie ad Antonio Nicastro (interpretato da Claudio Santamaria) che si trasferisce da Roma in Sicilia per stanare e narrare una criminalità a cui ci si rassegna. Al suo fianco, tra gli altri, Marcello Grisanti (Maurizio Lombardi), un ex partigiano e Giulio Rampulla (Francesco Colella).

“Ho due figli ed essere qui con voi oggi è come averli moltiplicati – racconta Colella – È difficile parlare di mafia, sempre, ma quella degli anni Cinquanta non è un tema così lontano come può sembrare, perché esiste nelle nostre vite e continua a condizionarle. Non dobbiamo ragionare di mafia solo in termini di associazione criminale, ma di costume mentale. Chi decide di morire per il crimine è un morto in vita e l'unico modo per non essere morti in vita è attraversare le emozioni, leggere, conoscere la storia, interessarsi a quelle degli altri. Solo così si riesce a cercare la propria voce e ad avere coraggio. Rampulla è un personaggio migliore di me, interpretarlo è stato una sorta di educazione sentimentale”. Prima dell'incontro con il cast i giffoner hanno assistito alla decima puntata della mini serie che si chiude con una frase simbolica: Antonio che dice a chiare lettere che a lui interessa solo la verità. E di verità, tra atmosfere rarefatte che ricordano Truman Capote e la scelta di più di un piano sequenza, ce ne sono tante.

A partire dalla genesi della serie: “L'idea mi è venuta perché ero stanco di stare sempre dalla parte dei vari Gomorra e Suburra – chiarisce Stefano Lorenzi – Avevo già prodotto un documentario su L'Ora e mi sono detto che era arrivato il momento di rendere più forte questa storia, di darle dei protagonisti animati da un unico desiderio, la ricerca della verità. I giornalisti mi sono sembrati le persone più adatte”. Piero Messina, invece, ha raccontato la cura certosina con cui sono stati creati gli ambienti ed i costumi, secondo un criterio filologico che non fosse la riproposizione pedissequa di tanti altri film o serie dedicate a un tema così complesso. Per Ciro D'Emilio e Bruno Falanga non è stato un debutto salire sul palco di Giffoni. I due, negli anni scorsi, si sono conosciuti proprio al festival e da qui hanno intrapreso le rispettive carriere. Per Maurizio Lombardi la mini serie è stata una svolta: “In genere mi affidano sempre il ruolo del cattivo. Invece è stato molto stimolante interpretare questo personaggio”. Per chi ha perso la serie, anticipa Silvia Lodi, sarà possibile rivederla su Mediaset e su Disney+. I giffoner lo faranno, fiduciosi anche in un seguito. Meno fiduciosi, però, confessano di esserlo in uno Stato che ha più volte tradito la loro fiducia macchiandosi di connivenze con la criminalità: “Per ritrovarla – è la risposta di Lorenzi - occorre credere in chi combatte questo sistema. Ci sono stati Falcone e Borsellino, ma tanti altri che hanno lavorato nell'ombra. E' per questo ho voluto raccontare questa storia, per restituire fiducia. E' figo il format da Romanzo criminale, ma facciamo conoscere anche altre realtà”.

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