Film Edizione 2023

COME LE TARTARUGHE

Daniele, Lisa, Sveva e Paolo, sono una famiglia borghese apparentemente perfetta. Un giorno il marito svuota l'armadio e va via. L'armadio vuoto diventa per Lisa il luogo ideale dove rifugiarsi ed elaborare la separazione. Sveva, la figlia quindicenne, fa di tutto per tirarla fuori, non accettando il comportamento bizzarro della madre e l'assenza, inspiegabile per lei, del padre. Daniele non tornerà a casa, ma Lisa riuscirà, grazie all'amore dei suoi figli e a una forza ritrovata, a compiere il primo passo per il superamento del dolore.

Categoria Fuori concorso
Sezione Parental Experience
Tipologia Lungometraggio
Anno di Produzione 2022
Durata 82'
Nazionalità Italia
Regia di Monica Dugo
Fotografia Gianni Mammolotti
Montaggio Paola Traverso
Scenografia Emanuela Zappacosta
Costumi Nicoletta Taranta
Musiche Pier Cortese
Interpreti principali Monica Dugo
Romana Maggiora Vergano
Edoardo Boschetti
Francesco Gheghi
Angelo Libri
Sandra Collodel
Annalisa Insardà
Prodotto da Cinzia Rutson
Produzione Do-Go & C. Production, Biennale College Cinema

 

Monica DugoMonica Dugo

Attrice siciliana, ma anche ballerina e regista, Monica Dugo è un volto noto soprattutto della fiction italiana. Nel 2005 debutta al cinema in TI AMO IN TUTTE LE LINGUE DEL MONDO. Tra le tante interpretazioni ricordiamo quelle in QUESTO È IL MIO PAESE, UNA MAMMA IMPERFETTA, ROMANZO SICILIANO, BORIS GIULIANO - UN POLIZIOTTO A PALERMO e LA MAFIA UCCIDE SOLO D'ESTATE. Nel 2016 ha diretto e sceneggiato con Marcello Nodo il corto DOMANI SMETTO. Nel 2022 ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia (Biennale College Cinema) COME LE TARTARUGHE.

Il mio film è partito con un’immagine: un armadio vuoto. Ho pensato se una donna, travolta da un dolore non sostenibile e inaspettato, avrebbe potuto ficcarcisi dentro. E ho sorriso.
Le immagini dentro l'armadio si sono subito delineate, le ante come occhi, cosa sarebbe filtrato dalle sue fessure. E al contrario cosa avrei mostrato del suo interno.
E questa è la parte “surreale” del mio film, con riprese non classiche, con un armadio costruito con pareti mobili, spiando la protagonista mentre nasconde il suo stato d’animo senza colore, attraverso camicette colorate. E la possibilità di soffermarsi su rumori, cigolii, tocchi all'armadio. L'armadio diventa un personaggio, assiste e accoglie, si illumina e si spegne, all’interno e all’esterno, una volta finita la sua missione, può anche morire.
Attorno all'armadio, la casa, e una storia da raccontare in maniera quanto più classica possibile, seppur in una unità di luogo. L'impianto teatrale è inevitabile. Oltre che legato alla mia esperienza di ballerina prima, e di attrice dopo, cercando di mettere a fuoco uno stile che dia valore alla composizione dell’inquadratura, in cui non ci sia troppo spazio per la ripresa improvvisata. Mi piace alternare immagini degli attori con immagini di cose materiali, soprammobili, la porta dell’armadio che diventa un confessionale. La camera a mano è usata per seguire i personaggi in movimento in corridoio o in strada, invece immagini ferme e quadrate nelle camere. Le inquadrature “teatrali” sono alternate a primi piani stretti in momenti particolari, scambi confidenziali, sguardi. Dal punto di vista visivo il film avrà un approccio realista al racconto, anche nei momenti più surreali.
In ogni caso, come sempre, la prima (e unica) regola che mi do è, fare le cose molto seriamente, ma senza prendersi mai troppo sul serio. Non vorrei indugiare mai troppo sul dolore, sul dramma. Farlo sentire e percepire, ma distogliere lo sguardo da esso un attimo prima piuttosto che un attimo dopo.

 

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