Martedì, 18 Maggio 2021 10:34

Addio a Franco Battiato: fu ospite di Giffoni nel 2012. Ai juror raccontò il potere della disciplina per costruire un futuro migliore

Se ne è andato Franco Battiato. L'artista, il musicista, il poeta, il filosofo. L'uomo che ha saputo, tra i primi, contaminare pop e musica colta, riuscendo a parlare al cuore del pubblico che lo ha sempre amato, fino alla fine. Il cantautore catanese aveva 76 anni e si è spento oggi, dopo una lunga malattia, nella sua residenza, l'ex castello della famiglia Moncada a Milo, nella sua amatissima Sicilia. Presente più volte in cima alle hit con Bandiera bianca o L'era del cinghiale bianco, solo per citare alcuni dei suoi brani di maggiore successo, a marzo scorso, in occasione del suo compleanno, aveva festeggiato la ripubblicazione del suo album cult del 1981, La voce del padrone.

Nel 2012 era stato ospite del Giffoni Film Festival, dove aveva ricevuto il prestigioso premio Truffaut. “A 67 anni comincio a essere contento della vita”, aveva raccontato a una platea folta ed entusiasta di giovanissimi protagonisti della Masterclass che lo vide Maestro, padre e al tempo stesso amico e confidente. “Quello che è mancato all’Occidente è stato un vero insegnamento su cos’è l’individuo. Ci mancano dei pilastri della conoscenza e questo si ripercuote sulle nostre relazioni, sul nostro modo di stare al mondo”, disse invitando i ragazzi a lavorare su stessi, a imparare a conoscersi, a staccarsi dalle cose materiali, dalle persone e a seguire il proprio destino, “quello che le stelle hanno deciso per noi” perché “noi siamo esseri speciali e dobbiamo imparare dalle nostre voci interiori”.

Con la sua, di voce interiore, Battiato ha stregato generazioni, parlando sia alla platea intellettualmente più raffinata, con album come Caffè de la Paix, un concentrato di inconscio e misticismo, sia a quella più generalista che lo osannò a Sanremo, nel 1981, quando la sua Per Elisa, composta con Giusto Pio e Alice, conquistò l'Ariston. “A un certo punto della mia esistenza mi sono reso conto che dovevo capire il senso del mio viaggio - raccontò ai juror parlando della sua giovinezza, con fare da ipnotico sciamano - e così sono andato alla ricerca della mia essenza, che è cosa ben diversa dalla personalità, la nostra prima e unica nemica”.

Alla fine, però, ne è valsa la pena: “Posso dire che sono un tipo da bicchiere mezzo pieno. Penso che il bene vinca”. La missione di un artista? “Essere un ponte tra due realtà”. La potenza della sua presenza a Giffoni è viva, come quella di ogni artista capace di lasciare una traccia immortale.

Con i ragazzi, troppo giovani per conoscere le tappe del suo lungo e complesso percorso, parlò dei suoi esordi: “In quegli anni noi musicisti non volevamo far carriera, non volevamo diventare famosi, eravamo dei fanatici della musica e di qualche droghetta che ci aiutasse ad allargare la coscienza”. Perché “c’è un pubblico sotterraneo che gli artisti commerciali non hanno”. Sono gli anni del Cabaret club 64, dove incrocia Paolo Poli, Enzo Jannacci, Renato Pozzetto, Bruno Lauzi, Giorgio Gaber, che diventeranno suoi compagni di viaggio. E sono gli anni della folgorazione per Luciano Berio e Karlheinz Stockhausen, due compositori “ruvidi” per orecchie poco allenate alla sperimentazione.

Quella stessa sperimentazione che caratterizzerà tutto il suo lungo zigzagare tra geometrie elettroniche e discipline spirituali, fino all'incontro con l'amico e poeta Manlio Sgalambro, complice di un sodalizio che resterà nella storia della musica. Ai giffoner Battiato parlò, con il suo stile inconfondibile, di futuro: “Il futuro dei giovani dipende solo da loro. In questo momento non è facile distinguere il buon insegnamento dal cattivo perché manca lo spirito di osservazione. Per maturarlo bisogna studiare. La disciplina è determinante, ci fa migliorare e ci permette di conoscere noi stessi”. Ci vuole cura, grande cura. Come quella citata in una delle sue canzoni più struggenti. La stessa cura con cui la community di Giffoni conserverà per sempre il suo ricordo.

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