Lunedì, 24 Luglio 2023 20:30

Il cinema necessario spiegato da Haider Rashid: “I limiti ci spingono a trovare soluzioni”

L’ultima volta non esisteva una Multimedia Valley. L’ideatore del Giffoni Film Festival, un giovane Claudio Gubitosi, veniva intervistato al Giardino degli Aranci o nelle strade di Giffoni. Sono passati 25 anni da quando Haider Rashid, giovane giurato, conosceva la magia del festival del cinema più necessario. Oggi ritorna a ritorna “da grande”, con la barba, e la vittoria a Cannes del premio della critica indipendente.

Il “rec” alla cinematografica di Rashid inizia letteralmente con una telecamera in spalla, seguendo il padre giornalista nella realizzazione dei suoi servizi televisivi. “Anche se ho iniziato come attore da bambino, ed è lì che sono rimasto folgorato dal set, con mio padre ho imparato davvero tanto. Avevo il tempo di riflette e capire i tempi di una ripresa. È stata la mia prima scuola di cinema. Il passaggio nel mettere in scena qualcosa di mio, quindi, è stato naturale”.

Ai giffoner +18 presenti nella Sala Verde è stato mostrato il claustrofobico trailer di “Europa”, il film del regista italo-iracheno presentato al Festival di Cannes del 2021, vincitore del “Premio Beatrice Sartori” della critica indipendente. È la storia di Kamal, un giovane iracheno che cerca di entrare in Europa a piedi, attraverso la frontiera tra Turchia e Bulgaria, definita dai media la “rotta balcanica”. Ma il sogno di Kamal si infrange quando viene fermato dalla polizia di frontiera bulgara. Lo stile è forte, di impatto, con intense riprese con camera a spalla. Una esperienza immersiva e viscerale, anche attraverso il sapiente montaggio sonoro. Ai giurati non è affatto passata inosservata la somiglianza allo stile cinematografico di Lars Von Trier, e il rispetto di diverse regole del Dogma 95, espresse proprio dal regista danese: “I confini stimolano la creatività. È stato molto difficile girare il film, soprattutto per l’operatore, che aveva la camera addirittura in mano. Io lo spingevo al limite per un rapporto sempre più simbiotico con l’attore. Mi sono ispirato anche alla trilogia sulla morte di Inarritu, con ‘Amores Perros’, ‘21 grammi’ e ‘Babel’.”

Un regista impegnato, sensibile nel raccontare la realtà, che lo guida e lo muove. “È la forza di fare film. Perché per fare film ci vuole tempo, a volte anni. Passi da momenti di assoluto entusiasmo a quelli in cui vuoi smettere. Avere quel motivo interiore, che va oltre se stessi, è il modo per continuare a fare questo lavoro. E continuerò in questa direzione. Spero che i miei film possano contribuire a interrogare le persone proprio sulla realtà che li circonda”.

Ogni film, per Rashid, è una sfida, da affrontare una per volta: “I limiti sono utili perché ti spingono a inventare soluzioni, e tutti noi abbiamo la sindrome dell’impostore. È un modo per instillarci dubbi ed ostacoli. Non bisogna farsi fregare da questa sindrome, né da chi vuole vederci fallire. Già l’idea di fare il regista oggi è un’idea folle. Ma se ci credi, devi farlo. E devi difendere il tuo punto di vista sulle cose. Credere che quello che puoi fare tu, non può farlo nessun altro, perché quella cosa può avere un valore per il mondo.”

Leggi anche