Giovedì, 29 Luglio 2021 19:41

Film in concorso 29 luglio: la dura conquista della libertà per volare sempre più in alto

Nuova e intensa giornata di proiezioni per i giurati del #Giffoni50Plus. Alle ore 10:00, in sala Truffaut, i ragazzi della categoria Generator +16 hanno visto lo spiazzante THE FAM (Svizzera, 2021) sceneggiato, diretto e montato da Fred Baillif. Un film ambientato in una casa-famiglia dove vivono diverse giovani ragazze di età differenti: questa esperienza familiare forzata crea tensioni e intimità inaspettate, fino ad un incidente che segnerà una svolta nei loro rapporti interni ed esterni. Applauditissimo, il film ha colpito molto i giurati per diversi aspetti, soprattutto quelli tecnici. “Ho apprezzato molto che questo film non segua uno schema narrativo classico – dice Rosa – e usi in maniera particolare l’elemento della musica classica”. Come mai questa scelta? “A volte il suono eccessivo distoglie l’attenzione – spiega il regista – e non mi piace inondare i film di musica. Ho scelto la musica classica per esprimere in secondo piano come il ‘sistema’ a volte tende a tornare indietro:  nei lavori sociali si hanno corsi e ricorsi storici. La scelta musicale è fatta apposta per evitare che la narrazione venga troppo manipolata”. Entusiasti i giovani dell’hub Macedonia. “Io non ho pianto – dice una ragazza macedone – ma ho singhiozzato! È un film stupendo! Cosa ti ha ispirato? Da cosa deriva questo forte senso di protezione verso le protagoniste?”. Emozionato il regista ha replicato: “Io stesso ho lavorato come assistente sociale e non mi sentivo a mio agio perché il ‘sistema’ stesso di queste strutture non permette di dare ‘amore’ se non a mantenendosi a una certa distanza sociale. Per fare un film bisogna conoscere il contesto e fare tante ricerche – continua – all’inizio abbiamo intervistato le ragazze facendoci raccontare la loro storia, anche se abbiamo avuto molte pressioni da parte della stampa e le forze dell’ordine per il tema che volevamo raccontare. Nessuna di loro aveva mai recitato  - aggiunge - e la persona che interpreta la direttrice della casa famiglia, Lora, in passato ha davvero lavorato in una struttura del genere e questo ci ha aiutato tantissimo nei momenti di tensione”. Il regista poi tiene precisare che “in questo film nulla è stato scritto ed è tutto improvvisato, nonostante la trama sia finta: ovviamente nessuna delle ragazze aveva vissuto davvero le vicende che abbiamo raccontato e con loro abbiamo fatto solo un po’ di training, confrontandoci prima di ogni ciak”. Come se loro non avessero bisogno di nessuna guida aggiunge. “Come avete fatto a rapportavi con le ragazze? Appaiono molto fragili…” chiede alla fine Anita. “Non le ho affatto considerate fragili – spiega il regista – nel momento in cui le consideri fragili, come fanno alcune strutture sociali, le chiudi in una scatola e questo è sbagliato! Proprio questo volevo comunicare nel mio film – conclude tra gli applausi – liberarle dai pregiudizi e farle sentire totalmente sé stesse!”.

Siete il pubblico più bello che abbia mai avuto!” così saluta i giurati Elements +10 André Hörmann, regista del coinvolgente NIGHT FOREST (Germania, 2021), proiettato alle 10:00 (e in replica alle 14:30) in sala Alberto Sordi. Ambientato nelle Alpi Sveve, il film ci trascina nella rocambolesca avventura di Paul e Max che scappano di casa il primo giorno di vacanze estive e si perdono in una grotta nel cuore della foresta, alla ricerca del padre di Paul. Nonostante si sentano liberi e spensierati saranno costretti a vivere momenti che li cambieranno per sempre. In presenza, il regista, premiato a Toronto e Sidney, e la sceneggiatrice Katrine Anne Milhahn sono stati sommersi dalle domande dei giurati. “Come avete sviluppato le riprese? Sono tutte in ordine cronologico?” chiede Samuele. “Assolutamente no – ha risposto Hörmann – abbiamo fatto alcune riprese che vedi alla fine per prime, perché richiedevano meno impegno di troupe. Ad esempio, la scena che hai visto quasi all’inizio del film la abbiamo girata per ultima – continua – per avere una migliore risposta dall’attore”. Molte scene sono girate in acqua: “Come avete fatto?” chiede Stefano. “Abbiamo affittato una enorme piscina – spiega il regista – poi abbiamo costruito dei tunnel finti che ci permettessero di muoverci: ma è stato molto complesso”. La sceneggiatrice aggiunge poi divertita:“è curioso che per girare queste scene sott’acqua abbiamo montato una vasca per pesciolini sopra la videocamera!”. Molti giurati hanno trovato questo film ricco di suspense. “Come avete girato le scene pericolose?” si chiede Gerardo. “Tutte in massima sicurezza e ben legati a delle funi – spiega Hörmann – nella scena della caverna, ad esempio, eravamo in quaranta tra attori e troupe ed è stato stancante non solo girare, ma anche seguire tutte le procedure per evitare che qualcuno si facesse male, soprattutto per gli attori, che erano più piccoli e che hanno dovuto abituarsi a camminare in una caverna, al buio, con suolo impervio…”. Infine, una domanda sugli attori. “Come gli avete fatto recitare la scena in cui si sentono male e vomitano?” chiede Alice. “Ovviamente è tutto finto – spiega la sceneggiatrice – ma è vero invece il liquido che viene dato per fare queste scene: latte con pezzetti di cibo sbriciolati! Il nostro giovane attore è stato bravissimo perché l’ha dovuto tenere in bocca fino a quando non gli chiedevamo di far finta di sentirsi male! Anche se sono piccoli – conclude – fanno un duro lavoro!”.

I giovanissimi in maglia bianca della categoria Elements +6 sempre alle 10:00 (e in replica alle 14:30) in sala Lumière, hanno visto l’avvincente DREAMS ARE LIKE WILD TIGER (Germania, 2021) scritto e diretto dal tedesco Lars Motag. La vicenda racconta del piccolo Ranji, che si trasferisce dall’India a Berlino con i suoi genitori. Lui però vuole diventare una star di Bollywood e decide di partecipare ad un casting a Mumbai per realizzare il suo sogno. Ma per essere scelto dovrà lavorare moltissimo sulla sua timidezza, credendo fortemente in sé stesso e superando mille ostacoli. Il film è stato accompagnato da applausi durante tutta la proiezione e alla fine un boato ha accolto in sala il regista che ha ascoltato tutte le curiosità dei suoi piccoli spettatori. “Mi è piaciuto molto come il protagonista crede nei suoi sogni – dice Davide – e di tutte le disavventure che deve passare per raggiungere quello che vuole”. Se puoi sognarlo puoi farlo! Con le parole di Walt Disney arriva l’intervento di Ginevra: “Anche noi abbiamo dei sogni – dice emozionata – e questo film ci spiega che dobbiamo fare tutto quello che possiamo per realizzarli e crederci sempre!”. Prima della foto di rito con tutti i giurati il regista emozionatissimo ha aggiunto “Siete i primi al mondo a vedere il mio film e vi ringrazio di cuore! Siete un pubblico meraviglioso e non ho parole!”.

Alle 14:30 in sala Truffaut la categoria Generator +13 ha assistito alla proiezione di BULADÓ (Caraibi, 2020) secondo lungometraggio del regista Eché Janga: un’atmosfera mistica nella quale si spezzano, si sviluppano e poi si risolvono rapporti familiari a distanza di tre generazioni. Il nonno Weljo, personaggio eccentrico, non accetta il temperamento e la severità del figlio Ouira, tanto che i rapporti si rompono definitivamente per poi ricucirsi durante la storia. Kenza, ragazzina forte e decisa, si trova a vivere, a causa del padre e del nonno, un periodo di forte confusione che le crea difficoltà di scelta tra il sacro e il profano. Da un lato il nonno le insegna la spiritualità, dall’altro il padre le mostra quanto il mondo sia da vivere con pragmatismo. Kenza, però, sogna di vedere il nonno ed il padre tornare a volersi bene. L’ascetismo della storia si è diffuso anche in sala, tanto che i giurati hanno fatto molte domande sul personaggio del nonno, nativo anziano dell’isola, che ha avuto un forte impatto su Kenza. Morena ha fatto i complimenti al regista presente in sala perché ha saputo trasmettere molto bene i simbolismi della religione sull’isola. “Cosa pensa dei nativi che ancora oggi abitano alcune zone del mondo?”. “Li rispetto molto – afferma il regista - perché ovviamente loro sono in stretto contato con l’Universo e con la natura. Mio padre è nativo dell’isola e mia madre è danese, per cui ho vissuto da vicino la cultura prevalente e sono cresciuto con la presenza dello spirito universale. Questo contrasto l’ho voluto raccontare nel film – precisa - Le più belle storie le conoscono i nativi di una certa età, quelli che hanno vissuto un’epoca diversa dalla nostra”. Si è parlato anche di ispirazione: Vanessa ha chiesto da dove è nato tutto. “Il personaggio del nonno è ispirato a mio zio – risponde Janga - che mi ha raccontato tante storie e somigliava molto al nonno: vestiva in modo eccentrico ed era contrario alle regole come lui. Mio padre, invece, è stato ispirazione del personaggio del padre di Kenza. Per finire, la ragazzina è nata durante la scrittura della storia, grazie all’idea di mia sorella Elsa, che mi ha aiutato durante la stesura. Abbiamo scelto una bimba – precisa - perché le donne sono più risolute e soprattutto perché ho una bimba: ho pensato fosse anche un bell’omaggio a mia figlia”. Dall’hub della Macedonia una serie di osservazioni: “Kenza cambia durante il film. Inizialmente si sente responsabile per la morte della madre, poi trova un suo equilibrio grazie al nonno. Una scena che ci è piaciuta è quella della pistola e Kenza assume un ruolo fondamentale nella storia perché fa da intermediario tra il nonno e il padre. Per quanto riguarda il cavallo nella scena finale, per noi non è un animale reale, ma rappresenta una forma spirituale che Kenza considera un modo per mettersi in contatto con la madre. Poi, una curiosità: perché il padre ha deciso di fare il poliziotto?”. Il regista entusiasta precisa: “Un’analisi perfetta della storia, ragazzi! Ouira è un poliziotto perché anche mio nonno lo era. È stato il primo poliziotto di colore dell’isola ed era riuscito a conquistare la fiducia della gente perché era una brava persona. Poi, il poliziotto – conclude il regista - rappresenta una figura severa che si sposa bene con quella del personaggio di Ouira”.

Presso la sala Galileo per la categoria Gex Doc, alle 14:45, è stato proiettato il docufilm FIRST WE EAT (Canada 2020) della regista Suzanne Crocker presente alla proiezione. Un vero e proprio esperimento sociale che ha come protagonista una famiglia come tante che vive in una zona del mondo un po’ speciale: appena al di sotto del Circolo Polare Artico. Il film prende in esame un anno intero durante il quale un’intera famiglia dovrà procacciarsi il cibo da sola, essendo stato bandito il supermercato e i prodotti provenienti dall’ ‘esterno’. Con la complicazione di temperature basse, le difficoltà saranno tante e i momenti di sconforto non mancheranno. Quale sarà la reazione di ogni singolo componente della famiglia? Quanto aiuterà vivere in una comunità locale? Tema prevalente della discussione post film, è la riscoperta delle tradizioni. “Con la pandemia abbiamo dovuto rispolverare le vecchie tradizioni casalinghe che avevamo abbandonato da molto tempo e non è stato male riscrivere le nostre giornate” ha osservato Claudia. “Un esperimento del genere può essere utilizzato come modello per il futuro del mondo?” ha chiesto Filippo. “Ho girato il documentario prima della pandemia – spiega la regista - e mi sono chiesta come si potesse fare per continuare a vivere se dovesse succedere un evento o un cataclisma. Ho imparato da tutto quello che è successo, quanto sia fondamentale procurarsi il cibo base. Tutto il resto è un lusso. Ovviamente non pretendo che tutti facciano quello che ho fatto io per un anno – precisa - ma penso che ognuno di noi debba chiedersi da dove provenga il cibo che abbiamo sulle nostre tavole. Iniziamo a cibarci dei prodotti locali, lancio questo appello”. Paola poi chiede: “è riuscita a continuare questo stile di vita e ha avuto ancora problemi di pressione sanguigna o ha risolto con questo stile di vita?”. La regista senza esitare spiega: “Sto ancora mangiando cibo locale e sono 3 anni che abbiamo sospeso l’esperimento. Devo dire che ad oggi  - conclude - non prendo più medicine per la pressione”.

Seconda tornata di cortometraggi in concorso per i giovanissimi giurati della categoria Elements +3. In sala Sordi, a partire dalle 19:30, sono stati proiettati nove piccoli film: I’LL BE YOUR SIDE (Corea del Sud, 2021) della giovane regista sudcoreana Lee Ju-I: Doong-yi è nato diverso dai suoi simili e per questo cerca sempre di nascondersi e non si sente accettato. Dopo avere cambiato nuovamente scuola, i suoi compagni scoprono il suo segreto, ma la reazione sarà ben diversa da quella che si aspettava! A seguire è stato proiettato il divertente JUAN VIENTO (Argentina, 2020) esordio del regista Carlos Farina. Il corto narra di Juan il cui compito è prendersi cura del parco, ma che odia il vento che gli trascina via le foglie e alza montagne di polvere. Sarà proprio il vento, però, a riservargli una sorpresa. La conquista della agognata libertà è il tema del corto KIKI THE FEATHER (Francia, 2020) della regista Julie Rembauville dove un piccolo canarino giallo che sogna di lasciare la propria gabbia, un giorno riesce a volare via e decide di esplorare il mondo ‘esterno’. Avrà fatto bene? Il successivo KIKO AND THE ANIMALS (Francia, 2020) della giovane regista Yawen Zheng racconta del terribile Kiko che maltratta tutti gli animali che gli si parano davanti. Un bel giorno sono proprio gli animali a provare a spiegarli che anche loro hanno delle emozioni e provano amore. Girato a metà tra set veri e set animati, LITTLE ROOMMATE (Svizzera, 2021) racconta della passione sfrenata di un piccolo topolino per la musica, senza la quale non riesce proprio a vivere! Il corto è girato dal collettivo di registi svizzeri Simon Ott, Fabian Schaeublin e Hannes Oehen ed è un viaggio stupendo a suon di musica. Si concentra sulla tematica del surriscaldamento globale invece PENGUIN AND THE WHALE (Argentina, 2020) scritto e diretto dal duo Ezequiel Torres e Pablo R. Roldán. La storia racconta di una balena che decide di aiutare a tutti i costi il suo amico pinguino a trovare un nuovo ghiacciaio dove stare: dovranno fare squadra e combattere contro il caldo che fa sciogliere i ghiacci per trovare una soluzione. Una storia d’amore è al centro del corto THE PRINCESS AND THE BANDIT (Russia, 2020) diretto da Mikhail Aldashin e Mariya Sosnina: la principessa si innamora di un bandito donandole ogni avere del suo regno. Lui è solo interessato a questi tesori e non all’amore che la povera principessa prova per lui. Arriva sempre dalla Russia il corto proiettato successivamente: THE SCARIEST ONE (Russia, 2020) scritto e diretto dal giovane Pavel Nikiforov e che racconta del legame, all’apparenza improbabile, che lega due animali diversissimi tra loro: un uccellino e un bufalo, che presto diventeranno amici per la pelle. Ultimo corto proiettato è TREASURE (Francia, 2020) scritto e diretto dal collettivo Alexandre Manzanares, Guillaume Cosenza, Philipp Merten e Silvan Moutte-Roulet. La divertente vicenda racconta di due esploratori alla ricerca di un tesoro dimenticato e che con la loro barca e i loro strumenti disturbano la storia d'amore tra un polpo e la sua ‘amata’.

A chiudere la giornata di proiezioni, la categoria Generator +18, che ha visto in sala Lumière alle 19:30 il controverso COWBOYS (Usa, 2020) scritto e diretto dalla statunitense Anna Kerrigan. Il tema è attualissimo e delicato: la storia di un padre, Troy, che si ribella al pensiero della sua ex moglie di non accettare Joe, il loro figlio trans. Un vero e proprio trauma per il ragazzo, che insieme al padre fugge nel deserto del Montana contro la volontà dell’ex moglie Sally. Quest’ultima decide di denunciare l’uomo e lo fa ricercare dalla polizia; ma lentamente riesce a mettersi in discussione e cambiare radicalmente l’idea che si era fatta sui sentimenti del figlio. A metà tra western e road movie la regista racconta la storia di una famiglia rurale come tante in America, senza perdere il filo rosso dell’attualità del tema trattato: la ricerca e l’accettazione di genere. Il film, presentato in anteprima al Tribeca Film Festival 2020, ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura e il premio per il miglior attore per il giovane protagonista.

Leggi anche

Maggio 08, 2024

#Giffoni54: Ecco i primi titoli in concorso

Le discriminazioni etniche, il conflitto israelo-palestinese, lo sport come riscatto e occasione di crescita, le difficoltà di essere genitori e figli, la scoperta della sessualità e la bellezza di non riconoscersi in un’etichetta: sono solo alcuni dei temi…