Nils Tavernier
Nato nel 1965 a Parigi. Ha debuttato al cinema come attore, nel film I MIEI VICINI SONO SIMPATICI (DES ENFANTS GÂTES, 1977), diretto dal padre, Bertrand Tavernier, per il quale ha poi recitato in QUARTO COMANDAMENTO (LA PASSION BÉATRICE, 1987), LEGGE 627 (L. 627, 1992), ELOISE, LA FIGLIA DI D’ARTAGNAN (LA FILLE DE D’ARTAGNAN, 1994). È apparso inoltre in UN AFFARE DI DONNE (UNE AFFAIRE DE FEMMES, 1988) di Claude Chabrol, LA LUCE DEL LAGO (LA LUMIÈRE DU LAC, 1988) di Francesca Comencini, VALMONT (1989) di Milos Forman. In seguito è passato alla regia, con i documentari TOUT PRÈS DES ÉTOILES (2001), HISTOIRES DE VIES BRISÉES: LES “DOUBLE PEINE” DE LYON (2001, diretto con il padre), L’ODYSSÉE DE LA VIE (2006). Nel 2006 ha girato il suo primo lungometraggio di finzione per il cinema, AURORE.
Dichiarazioni del regista
“Negli ultimi 20 anni mi sono interessato di bambini e di malattia, e ho trascorso due anni all’ospedale pediatrico Necker di Parigi, nel dipartimento di neurologia, lavorando su un documentario. Così ho voluto concentrarmi sulla forza incredibile di alcuni di questi ragazzi, che sono diversi da tutti gli altri. Ho capito che, nei casi di alcune malattie particolarmente gravi, i bambini possono avere questa incredibile energia vitale che diffondono intorno a loro, che hanno diffuso a me e alle loro famiglie. Non volevo personaggi fuori dall’ordinario per il mio film, ma non volevo neanche personaggi banali: volevo persone che fossero simili a noi e che si rivelassero eccezionali grazie al bambino in questione. Poi mi sono imbattuto in questo video su internet, su un bambino affetto da paralisi cerebrale che ha chiesto a suo padre di partecipare alla Ironman, e su suo padre, che ha accettato. Questo è l’esempio perfetto di ciò che avevo osservato, soprattutto per quella forza incredibile di cui ho parlato. A volte, questi papà, che non riescono più a sopportare che i loro figli siano diversi, diventano improvvisamente forze della natura, grazie all’energia dei loro figli. Così ho voluto fare un film in cui il protagonista è un disabile, ma in cui dimentichiamo rapidamente la malattia: vediamo che è diverso ma, non appena accettiamo la differenza con l'energia che ne deriva, non vediamo più la disabilità. Penso che tutto questo sia magnifico. In molte famiglie che affrontano la disabilità, ho visto una spinta al cambiamento guidata dal bambino disabile. Non è automatico – alcuni bambini si trovano in uno stato permanente di tristezza a causa della loro condizione – ma la storia della famiglia del film è soprattutto quella di un ragazzo che spinge i suoi genitori a mostrare chi sono realmente. Attraverso di lui, i suoi genitori cambiano le loro idee fisse sulla loro identità. Si superano e scoprono il meglio di se stessi. Ho trovato magnifico che un ragazzo di 18 anni potesse cambiare tanto radicalmente la vita di suo padre”.