Sabato, 24 Luglio 2021 20:33

Carl Brave a IMPACT!: “Nell’arte e nella musica bisogna osare”

Nell’arte e nella musica bisogna osare. Andare contro le regole, è questo il trucco per fare bella musica e inventarsi qualcosa di nuovo. Rischiare, sperimentare. Devi ascoltarti”: è il messaggio più volte sottolineato ai giffoner da Carl Brave, produttore e paroliere romano, protagonista di un doppio appuntamento a #Giffoni50Plus, di pomeriggio ospite della IMPACT! e in serata dei music talk di Giffoni Music Concept.

Ai vertici delle classifiche musicali con la hit Makumba, realizzata insieme alla cantante Noemi, viene accolto in sala blu dal ritornello cantato a cappella dai giffoner. Un incontro denso, ricco di stimoli e curiosità, a partire dai suoi esordi, con un primo studio di registrazione costruito inizialmente in uno scantinato: “Un tugurio – scherza – dove hanno registrato in tantissimi, compresa Elisa”. E proprio sulle sue tante collaborazioni e featuring, attraverso cui, con il suo stile unico e riconoscibile, Brave traccia nuove direzioni nella musica pop italiana, si concentrano le domande dei giffoner. “Ogni feat è come un vestito, con una base realizzata ad hoc per far risaltare le caratteristiche dell’artista. Ad esempio con Noemi, per Macumba, ho preparato u provino pensato per lei, gliel’ho fatto ascoltare e così è nata Makumba”.

Un’idea di musica, quella di Carl Brave, che contrasta con il concetto di etichetta. “Cos’è il genere, qual è? In realtà ormai è un insieme di tanti sottogeneri – afferma – È sbagliato etichettare la musica al giorno d’oggi. Ad esempio in un brano ci può essere un pezzo di trap o di pop, c’è l’indie in un giro di chitarra sporco in cui si sente il caos della registrazione. Mi rendo conto che questo pensiero va contro i luoghi comuni sulla musica. Le playlist condizionano, incanalano, trasformano in qualcosa di diverso. Se si viene inseriti in una playlist ad esempio indie, si viene identificati come tali”. È sulla proliferazione eccessiva di nuove produzioni che si sofferma inoltre Brave: “Ogni venerdì, in corrispondenza delle nuove uscite discografiche, di notte ascolto i nuovi brani. Escono troppi pezzi, qualcuno lo ascolto una oppure due volte, ma alcuni magari sono dei diesel ed avrebbero bisogno di maggior tempo di ascolto per poter essere compresi. Se non pubblichi spesso singoli, rischi di andare in controtendenza. C’è chi come Marrakech è tornato dopo tre anni ed ha sbaragliato tutti, ma lui è uno dei più forti rapper italiano. Gli emergenti rischiano di sparire. Adesso è tutto veloce, tutto subito, da zero a cento. Rispetto a gente come me, adesso si esce molto prima come età. Io avevo 26 anni, non avevo la maturità dei ragazzi di oggi a 18 anni e i social non erano così vicini”.

Sull’importanza dei social network si concentra anche la platea, con domande tese a capire come un grande producer si muova attraverso il web: “Io sui social sono abbastanza random. Faccio storie in cui canto da solo, in mezzo alla strada, tra una partita di basket all’altra – replica Carl Brave, ex cestista – Cerco di indirizzare i miei social sul mio lavoro, di non postare tanto la mia vita o i miei amici. Magari sbaglio, perché la gente vuole vedere chi sei veramente, ma sono riservato nella mia vita privata”. Una lunga digressione, molto tecnica, anche sulla produzione musicale alla base della creazione di una canzone di successo, con “i live completamente diversi dal cd”, con dischi molto più puliti, lavorati e rilavorati. “Giro con tanti musicisti, in genere siamo 11 sul palco, mi piace riarrangiare i pezzi, magari con un taglio techno. Lavoro molto con loro in studio, li registro e, li ricampiono. Modifico tanto il suono, per cui live non potrebbero mai replicarle”.

Il legame fortissimo con Roma e con la lingua romana, “perchè è il modo in cui io sono, la mia verità, cerco sempre di essere me stesso”, insiste. “Ogni persona, ogni artista, deve trovare una svolta nella sua identità, io lo faccio nella produzione, nella musica”. “Nei tuoi testi ci ritroviamo. Scrivi di getto quello che vivi”: è la riflessione che ritorna più volte tra i giffoners. Un modo di scrivere, iniziato con il rap, per poi trovare un proprio personale stile di scrittura, prima ancora del primo grande successo di Polaroid: “Ho cercato un sound che si sposassero con il modo di comunicare, parlando per immagini. Sono per sperimentare nuove cose, andare contro le regole, conservando la disciplina da playmaker di basket. Coinvolgimento, lavoro di squadra: è il senso del featuring, essere metodico, lavorare tutti i giorni. Non esce sempre qualcosa, il trucco per me è lavorarci su, allenarsi, come nel basket, quando per fare canestro fai 300 tiri al giorno. L’ispirazione se la cerchi, poi esce”.