Sabato, 22 Luglio 2017 17:42

Gabriele Muccino ai giurati: "Godete delle conquiste più elementari"

Gabriele Muccino, l'Ulisse del cinema italiano, ha fatto ritorno a casa. Dopo una lunga e fortunata parentesi che lo ha visto impegnato con la produzione filmica americana, il cineasta autore de L'Ultimo bacio e Alla ricerca della felicità uscirà nelle sale nel 2018 con un opera totalmente personale: "L'Isola che non c'è, la mia ultima fatica, restituisce un'immagine totalmente autobiografia della regia", ha chiarito questo pomeriggio nell'ultimo incontro Giffoni Masterclass 2017, di cui BadTaste.it è partner anche quest'anno.

"Quando sono approdato in America per girare La ricerca della felicità e Sette anime ero forte di alcuni elementi che consideravo imprescindibili per la mia arte: non di rado partivo dal talento e dalla personalizzazione degli attori, dalla pura tecnica della messa in scena e non mancavano casi in cui mi ritrovassi a modificare la sceneggiatura stessa in corso d'opera. Oggi, di fronte al viaggio a ritroso, porto via dal nuovo continente una voglia mai così tanto forte di proseguire nel solco della sperimentazione, nella ricerca di una realizzazione che possa essere considerata coraggiosa. A questi elementi endogeni ho affiancato la necessità di tornare a girare film che sentissi essere totalmente miei, che avessero un'anima oggettivamente complessa e che fino all'ultimo frame rispettassero questa volontà. L'Isola che non c'è è perciò la quinta essenza di ciò che sono oggi".

Un artista ormai maturo, che non ha più remore nel discutere degli aspetti maggiormente dibattuti dalla critica: "La critica italiana prima e successivamente quella internazionale mi ha accusato sovente di un sentimentalismo sterile e fine a se stesso", ha proseguito. "L'Ultimo bacio è entrato a pieno titolo nell'immaginario comune perché in tantissimi hanno voluto vedere una classica storia a lieto fine. In realtà, ponendo attenzione già solo alle ultime scene, si comprende quanto al sentimentalismo io preferisco l'emozionalitá che emerge dalla caratterizzazione maniacale dei personaggi. Gran parte delle figure che popolano i miei film sono anime inquiete che devono sopravvivere a questa consapevolezza. Figure proiettate verso qualcosa di indefinito e perciò spinte fino alle estreme conseguenze. A chi ha criticato questo modus operandi registico ho spesso risposto che sono la resa della mia stessa inquietudine".

Ad averlo trasformato nel personaggio carismatico che il mondo intero ci invidia sono stati soprattutto alcuni elementi: "De Sica, Monicelli, Age e Scarpelli, Risi continuano ad essere i miei riferimenti di una certa idea di estetica cinematografica", ha chiarito. "De Sica, più di tanti altri, lo ritengo il capostipite di un classicismo assolutamente ancora attuale e che trasuda da alcune mie opere emblematiche come Alla ricerca della felicità. Ovviamente esistono anche artisti che non ho particolarmente preferito, perché ritengo siano andanti contro una mia idea di gusto".

Nell'intero bilancio del suo operato, oggi Gabriele Muccino è un uomo assolutamente soddisfatto: "So perfettamente cosa mi ha permesso di essere la persona che vedete. La mia famiglia è stata fondamentale, ma ancor di più la pazienza e la perseveranza con cui ho atteso che i miei sogni e le mie ambizioni prendessero corpo. Ai ragazzi del Giffoni Film Festival, perciò, sento di dire: non bruciate le tappe, ma godete delle conquiste anche più elementari. Vi servirà a comporre quel magnifico puzzle che vi renderà unici".

Ai giurati che gli consegnano il premio Truffaut, il regista dice: "Sono commosso". Emozionato per l'accoglienza dei ragazzi, si è complimentato per la conoscenza e l'analisi dei suoi lavori: "Vedo che qui in sala 7 Anime va per la maggiore", ha aggiunto divertito. A chi gli ha chiesto che rapporto avesse con il proprio cast ha risposto: "Al 99,9% ho sviluppato un'esperienza felice con gli attori che diventano quasi delle mie protesi emotive. Riscrivo i dialoghi, mi concentro sulle prove e di solito genero una forte sinergia sul set". Quando uno dei giurati gli chiede come mai L'ultimo bacio che ha vinto al Sundace abbia generato un remake americano flop: "Non è un bel film The last kiss, non c'è altro da dire. Aveva l'ottima sceneggiatura di Paul Haggis ma è stata impapocchiata dai produttori e dal regista e non era all'altezza dell'urgezza narrativa originale". 

La curiosità maggiore è stata generata in sala dal percorso hollywoodiano del regista, che ha ribadito il ruolo chiave di Will Smith nella sua ascesa americana. A chi gli ha chiesto l'ingrediente fondamentale per diventare un bravo regista ha risposto: "Questo mestiere non dev'essere perseguito perché considerato più semplice. Per farlo devi saper ballare, per così dire, se non hai talento è finita. E serve una buona dose di tenacia per non farsi demoralizzare nei propri sogni".

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