Lunedì, 18 Aprile 2016 11:15

Gubitosi: "Palude culturale, bonifica difficile. Noi maestri nel farci male"

Le interviste del Mattino

di Pietro Treccagnoli

Un'analisi fredda e critica, quella di Claudio Gubitosi, ideatore e direttore del Giffoni Film Festival, che interviene sulla polemica successiva al progetto di portare al Napoli Teatro Festival. «Ho scritto una mail di solidarietà a Sebastiano Maffettone per una vicenda spiacevole che dimostra come la palude culturale della Campania sia difficile da bonificare. Abbiamo fatto una brutta figura come campani e abbiamo messo alla berlina il nome di Al Pacino per una questione economica. E a Dragone avevo raccomandato cautela, saggezza e responsabilità, parlandogli delle lobby locali e facendogli capire che quaggiù con il suo pensiero e la sua esperienza mondiali - abituato a lavorare con largo anticipo con finanziatori che pagano subito e non creano intralci - avrebbe incontrato difficoltà».

Claudio Gubitosi è il Giffoni Film Festival, che non è solo la rassegna estiva dedicata ai ragazzi con ospiti, negli anni, del calibro di Robert De Niro, Meryl Streep, Richard Gere, John Travolta, Orlando Bloom (per tacer degli italiani). Giffoni è un brand mondiale e una macchina che lavora tutto l'anno. Se si parla di politica culturale in Campania una voce autorevole da ascoltare è proprio quella di Gubitosi.

Direttore, che idea s'è fatta del pasticcio Al Pacino, dei 700mila euro che costava per portarlo al Napoli Teatro Festival e del no del presidente della Regione, Vincenzo de Luca?

«Non ho parole, ma dentro di me c'è un fiume in piena». Facciamolo esondare, allora. «Ho anche scritto una mail di solidarietà a Sebastiano Maffettone per una vicenda spiacevole che dimostra come la palude culturale della Campania sia difficile da bonificare. Abbiamo fatto una brutta figura come campani e abbiamo messo alla berlina il nome di Al Pacino per una questione economica. Con quello che guadagna, Pacino può anche fregarsene dei 700mila euro, ma se vuoi una Ferrari sai quanto devi spendere. Invece, siamo maestri nel farci del male. Quando Franco Dragone è stato scelto come direttore artistico l'ho messo in guardia». Che cosa gli ha detto? «Gli ho raccomandato cautela, saggezza e responsabilità. Gli ho parlato delle lobby locali e gli ho fatto capire che quaggiù con il suo pensiero e la sua esperienza mondiali - abituato a lavorare con largo anticipo, con finanziatori che pagano subito e non creano intralci avrebbe incontrato difficoltà. Qui prevalgono le lobby che appena possono sparano sul nuovo perché sono dei Gattopardi».

Lei che avrebbe fatto nella vicenda di Pacino?

«Avrei fatto il nome di Pacino solo quando l'accordo era chiuso». Ma la notizia è stata fatta trapelare, e non da Dragone. «Questo dimostra come si muovono le lobby. Bisognava riunirsi tutti, imponendo il riserbo. Se tutto andava in porto veniva annunciato, se saltava non se ne sarebbe saputo nulla e si evitava questa figuraccia».

Lei cosa farebbe per portare Al Pacino a Giffoni?

«Da noi vengono gratuitamente. Paghiamo solo le spese di viaggio e l'alloggio. Nessuno dice mai di no, se non ha impegni pressanti di lavoro. Chi viene sa che cosa l'aspetta e se ne va entusiasta. E i nostri incontri sono dei veri talk show. Ma se chiedo uno spettacolo so che un professionista va pagato per quanto vale sul mercato, tranne se generosamente non regala qualche improvvisazione».

Come si fa a uscire dalla palude?

«Maffettone, che è un filosofo, è stato messo al posto di consigliere di De Luca per ricucire un discorso unitario su un sistema politico-culturale in crisi, costruendo una strategia. Occorre lavorare per un "Brand Campania" che ha tutti i numeri per essere fortissimo».

Invece?

«Non si fa sistema, non ci mettiamo insieme. I vari direttori, che cambiano spesso, si conoscono per sentito dire, non comunicano. Abbiamo grandi attrattori come il San Carlo, Ravello e lo stesso Teatro Festival, tutti gestiti dal pubblico, ma non interagiscono. Così se il finanziamento pubblico è in sofferenza va in crisi tutto».

Anche Giffoni dipende in gran parte dai fondi regionali, oltre che dai numerosi sponsor. Come ve la cavate con Palazzo Santa Lucia?

«Per quest'anno siamo già in ritardo. È aprile, si comincia a luglio e l'accordo con la Regione non è ancora firmato. Le procedure complicate ci fanno arrivare sempre con l'acqua alla gola. E dobbiamo ancora avere i tre milioni del 2015. Ma che devo fare? Se mi metto a strepitare che cosa ottengo? Aspetto, meglio non discutere. Tra l'altro, il budget pubblico 2016 per Giffoni è stato dimezzato. Si va avanti così».

Tornando ad Al Pacino, il budget previsto è stato giudicato troppo alto. Si è detto che con quei soldi si può fare altro. Che ne pensa?

«È una questione generale. Ogni volta che si prevedono grandi spese per cultura e spettacolo si tirano fuori altre emergenze: gli ospedali, i rifiuti, i trasporti. A questo punto, però, bisogna capirsi: va bene, tagliamo la cultura e poi i turisti non portiamoli a teatro, al cinema, nei musei, ai concerti, ma a vedere le barelle del Cardarelli o i treni della Circumvesuviana. Anche nel mondo dello spettacolo ci sono lavoratori. Contano meno degli altri? La verità è che in Campania servono progetti nei quali inquadrare i singoli programmi e costruire già dall'ottobre precedente un calendario spendibile turisticamente. Senza questa filosofia di fondo e senza un'organizzazione non si fa crescere il territorio».

Quindi è contrario anche alla politica dell'«eventificio», tanti episodi clamorosi ma staccati tra di loro?

«Certo. Bisogna, però, anche uscire dal provincialismo proponendo nomi forti. Napoli è una città cosmopolita, gli eventi che vengono dall'esterno vanno accettati e costruiti, non rifiutati come corpi estranei».

Vede tanto provincialismo in giro?

«I saggi a tempo sono sempre in agguato. Piccole camarille e localismo lavorano a pieno ritmo senza capire che in Italia la centralità viene proprio dalle periferie che ossigenano e danno una spinta alla città».

Che consigli darebbe a Maffettone?

«Innanzitutto deve risolvere la crisi dei finanziamenti che sulla carta sembra finita, ma nei fatti non lo è. E poi deve fare un'indagine seria, affidata a istituti di indagine terzi, che monitori eventi e festival, per capire quanto riescono a moltiplicare gli investimenti pubblici. Solo così si distingue chi produce cultura da chi beneficia di assistenzialismo pubblico. Io ho un obiettivo: Campania 2020».

Ovvero?

«Far diventare, per quella data, la nostra regione la più creativa d'Europa. Le basi per essere turisticamente competitivi ci sono. Ma servono idee chiare, progetti politici e soldi certi».