Yohan Manca
Yohan Manca ha iniziato la sua carriera artistica come attore e regista teatrale. Aveva solo 17 anni quando ha messo in scena l'opera teatrale di Hédi Tillette de Clermont-Tonnerre, Pourquoi mes frères et moi on est parti ("Perché siamo partiti, i miei fratelli e io.") La sua collaborazione con questo autore è continuata per diversi anni, mentre lavorava ad altri progetti, in particolare con Mohamed Kacimi (Moi la mort je l'aime comme vous aimez la vie). Insieme al suo lavoro teatrale, Yohan Manca ha recitato in diversi lungometraggi, in francese e spagnolo. Nel 2012 ha scritto e diretto il suo primo cortometraggio, LE SAC (THE BAG), con Corinne Masiero, selezionato in numerosi festival. Il suo secondo cortometraggio, HEDI & SARAH, con Judith Chemla e Thomas Scimeca, affrontava il tema delle molestie ed ha ottenuto l’attenzione dei media, è stato nominato per il Premio per il Miglior Cortometraggio dal “Syndicat de la Critique” e ha ricevuto l'“Aide après Réalisation” (sussidio dopo le riprese) dal CNC (Centre national du cinéma et de l'image animée). Il suo terzo cortometraggio, RED STAR, con Abel Jafri e Judith Chemla, è stato selezionato al festival di Clermont-Ferrand 2021. Nel 2020 Yohan Manca ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio, LA TRAVIATA, I MIEI FRATELLI & IO, prodotto da “A Single Man”. Yohan Manca sta attualmente scrivendo il suo secondo lungometraggio, PIRATE n° 7, basato sul lavoro di Élise Arfi e anch’esso prodotto da Julien Madon.
Dichiarazione del regista
“Il film è liberamente adattato da un'opera teatrale Why We Left, My Brothers & I, di Hédi Tillette de Clermont-Tonnerre, che ho portato in scena e recitato quando avevo 17 anni. È composto da quattro monologhi, recitati da quattro fratelli. Uno dei suoi temi è l'incontro di un personaggio con l'arte, contro ogni previsione.. E questa idea corrispondeva alla mia esperienza di allora. Ho messo molti ricordi personali in questo film, della mia giovinezza, della mia infanzia. Come i quattro fratelli nella mia sceneggiatura, vengo da un quartiere della classe operaia, a sud di Seine-et-Marne e Pantin, a est di Parigi. Anche io sono di origine mediterranea, spagnolo per parte di madre, italiano per parte di padre. Ho voluto fare i conti con quelle origini, e con l’immigrazione dal bacino del Mediterraneo. Volevo indirizzare tutta l'attenzione dello spettatore verso un soggetto eterno: il modo in cui l'arte può salvarci. Voglio raccontare la vita dei quartieri popolari lontano dalle immagini veicolate continuamente dai canali di informazione h24, che trattano questi territori solo come luoghi pericolosi, popolati da teppisti. Anche il mio approccio non era documentaristico, poiché registi come Abdellatif Kechiche e Tony Gatlif lo hanno già fatto molto bene. La mia scelta è stata quella di mostrare cosa c'è di bello e romantico in questi territori. Quindi la camera a mano e le riprese digitali erano fuori questione. Volevo evitare di trasmettere la sensazione di urgenza in un'area che viene mostrata sempre ostile - e persino in guerra. Ho girato con un treppiede, con un punto di vista morbido e deciso, e ho usato la calda luce del sud, su pellicola da 16 millimetri. Trovo che questo renda tutto molto più radioso e poetico”.