Lou Howe
Nato nel 1982 a New York. Nel 2005 si è laureato all’Università di Harvard presso il Dipartimento di studi visivi e ambientali, e nel 2010 si è diplomato in Regia presso il Conservatorio dell’American Film Institute (AFI) di Los Angeles con il cortometraggio di fine corso MY FIRST CLAIRE. GABRIEL è il suo primo lungometraggio da regista, ed è stato presentato al Tribeca Film Festival 2014.
Dichiarazioni del regista
“In fondo, GABRIEL è un racconto di formazione. Il personaggio del titolo ha guardato da lontano i suoi amici e il fratello maggiore entrare nell’età adulta, e vorrebbe unirsi a loro. Proprio come fa ognuno di noi quando immagina il proprio futuro, Gabriel ha speranze e sogni, e fa progetti per realizzarli. Ma, a differenza del classico arco narrativo che consiste nel superare degli ostacoli e nell’imparare una lezione, l’idea di ‘crescita’ coltivata da Gabe è fondamentalmente irrealistica, e così la sua percezione distorta del mondo dà vita a un racconto molto diverso.
“La prospettiva instabile di Gabe si presta in modo naturale a una storia guidata dalla suspense. Mentre lo seguiamo nel suo viaggio, il pubblico non è mai sicuro di ciò che Gabe sarebbe capace di fare, per non parlare di quel che pensiamo di lui. Se in un primo momento Gabe potrebbe sembrare affascinante o eccentrico, lentamente il suo comportamento diventa inquietante, persino spaventoso. La sua imprevedibilità e il costante, potenziale pericolo forniscono la tensione che porta avanti il film. Ma quando arriviamo a conoscere veramente il personaggio e a capire i suoi obiettivi semplici e universali – l’amore, la stabilità, una vita di cui essere orgoglioso – allora la nostra paura viene sostituita dalla comprensione e dalla compassione.
“L’idea all’origine del film GABRIEL mi è venuta osservando la lotta di un mio caro amico d’infanzia con la malattia mentale, e l’intento originario del film era quello di provare a capire la sua esperienza del mondo. Molti film hanno trattato in maniera superficiale questo tema, e spesso usano la lente deformante della malattia mentale per spaventare o per respingere lo spettatore, oppure tentano di proporre una dichiarazione polemica sulla questione sociale. Questi approcci non mi hanno mai interessato. Il mio obiettivo era invece quello di portare sullo schermo la storia di un particolare personaggio nel modo più autentico possibile, e di offrire in questo modo al pubblico il tipo di legame empatico che solo un film è in grado di creare.
“La speranza è che, attraverso la lente del viaggio di questo personaggio, lo spettatore possa cominciare a vedere se stesso sullo schermo; che l’idea dell’età adulta nutrita da Gabe possa essere rifratta attraverso il prisma della malattia mentale, e il film possa essere guidato dal motore della suspense; ma, in sostanza, GABRIEL è la storia universale di un giovane uomo che cerca di crescere”.