Giovedì, 29 Luglio 2021 14:23

Marco Damilano riceve il Giffoni Special Award: “Il giornalismo è ricerca della verità"

Il giornalismo come “ricerca della verità”, la “responsabilità enorme” che ha il mondo della stampa, il ruolo della “fiducia” nei rapporti interpersonali e nella comunità, l’importanza del linguaggio e la “scelta delle parole” negli articoli e, soprattutto, nei titoli. Marco Damilano incontra i giffoner di IMPACT! e dà vita a un incontro denso di contenuti e ricco di spunti di riflessione. “È una grande emozione stare qui. È la mia prima volta a Giffoni e spero non sia l’ultima”, esordisce il direttore de L’Espresso. Che, in sala Blu, riceve il Giffoni Special Award.

La chiacchierata con la IMPACT! parte con una riflessione sulla fiducia – o sfiducia – nella stampa. “Fiducia è una parola importantissima, fondamentale, una delle dimensioni della nostra esistenza – afferma Damilano - Quando un rapporto personale si fonda sulla fiducia, questa può aiutare anche a superare un momento di difficoltà. Lo stesso vale per una comunità: se manca la fiducia viene giù tutto. Noi – continua - siamo da un po’ di tempo anche la società della sfiducia. Tendenzialmente ci fidiamo delle persone, ma sul piano collettivo spesso pensiamo l’opposto”. La sfiducia non di rado investe chi fa informazione: “Spesso si pensa che ai giornalisti sia stato suggerito cosa dire per tenere la società imbrigliata. Si pensa che i media per definizione mentano”. Ma perché accade questo? “Il mondo della stampa ha una responsabilità enorme – spiega il direttore de L’Espresso - non ci sarebbe questa percezione se la nostra categoria non avesse contribuito nel corso degli anni a scrivere ‘carte false’ – dice citando Gianpaolo Pansa - Ogni volta che c’è una percezione di sfiducia e mancanza di credibilità noi dobbiamo chiedere cosa abbiamo fatto per dare autorevolezza alla nostra parola”. E aggiunge: “Abbiamo responsabilità enormi aggravate da un clima di sfiducia che riguarda la società contemporanea e le istituzioni. Anche la stampa è una istituzione – sottolinea - e fa la differenza tra una società libera e democratica e una società che non lo è”.

Al centro dell’incontro, la conoscenza del reale: “Solo nell’ultimo secolo, dal ‘900 in poi, abbiamo imparato a raccontare anche quello che non si vede. Se potessimo avere strumenti che ci consentono di conoscere la realtà in tutte le sue pieghe penso che sarebbe molto utile al giornalismo”. E il discorso cade sul racconto dell’invisibile, incluso un tema molto caro alla IMPACT!, la salute mentale: “Tra le tante invisibilità che non riusciamo a raccontare, la salute mentale è incredibilmente sottovalutata se non in alcuni casi calpestata. Il linguaggio ferisce, offende”, afferma Damilano. E, nel cercare di spiegare il concetto, ricorda e omaggia Roberto Calasso, l’editore di Adelphi mancato in queste ore. “Quando l’ho conosciuto a Milano, alla casa editrice Adelphi nel febbraio 2020, mi regalò un libro di Borges, ‘Testi prigionieri’. È la raccolta di una rubrica che Borges ha tenuto negli anni ’50 su alcuni giornali che potremmo definire femminili. ‘Testi prigionieri’ perché ogni recensione doveva stare in 20 righe. Ma lui è stato un grande scrittore, noi che siano umili giornalisti quando abbiamo un titolo, una didascalia o un sommario continuiamo a scrivere la parola ‘matto’, la nazionalità di un aggressore, a racchiudere a imprigionare una persona in una categoria. E a proposito della salute mentale lo facciamo ancora di più. La salute mentale – rimarca - è una malattia invisibile per tutti, per la società. Mi ha sempre colpito la distanza tra il corpo, visibile, e la psiche o l’anima, che non vediamo. I media purtroppo sono un grosso veicolo di questa percezione della società. Abbiamo esigenza di raccontare – conclude - ma non dobbiamo imprigionare le persone nel nostro racconto. Dobbiamo liberarle”.

Il discorso sul linguaggio riguarda anche altri temi, dalla sessualità ai nuovi razzismi con l’utilizzo, nei titoli, della parola ‘invasione’ associata a un flusso migratorio. Perché accade? “Anche la paura, come la sfiducia, sono, per un certo modo di fare giornalismo, merci da vendere e da diffondere – spiega Damilano - Si può vendere anche la paura, la sensazione di assedio, che è purtroppo uno dei sentimenti collettivi su cui c’è un investimento politico, sociale e anche mediatico. Usare termini bellici significa farti sentire nella sensazione che devi essere sempre pronto a difenderti da un nemico”. Nel mirino anche l’abuso della parola emergenza: “Si parla di emergenza virus, clima, sbarchi, incendi, lavoro. Ma queste tutto sono tranne che emergenze: sono le questioni fondanti del nostro secolo”, esclama il direttore.

Il ruolo del giornalismo stimola le domande dei giffoner. E tocca il tema della verità. “Ricerca della verità e questione etica direi che sono la stessa cosa – spiega - Tra tanti che si vantano di avere la verità in tasca non c’è mai la mezza misura, tanto che spesso s’instaura un atteggiamento che uccide la possibilità di un dibattito pubblico democratico”. Al contrario, il mestiere del giornalista “è una ricerca della verità, una tensione verso la verità. La verità non la possiedi, la verità è più grande di quello che riesci a scrivere o fotografare. Questo significa, per chi fa il giornalista, di smettere di credersi onnisciente”. Il discorso cade anche sulla copertura delle notizie che la stampa riesce a garantire. Con un paradosso: “Quando ero ragazzo avevo molte fonti sul mondo – racconta - La stampa mainstream aveva uffici di corrispondenza su vari Paesi. Oggi che il mondo è più piccolo essendoci più possibilità di viaggiare, per una serie di motivi anche economici, lo conosciamo di meno, soprattutto conosciamo meno quelle zone del mondo che sono invisibili. Parliamo di interi continenti, in particolare Africa e America latina, solo in casi di emergenza”. E aggiunge: “Io dirigo un giornale e mi sento di dire che su questo facciamo un lavoro specifico. Però bisogna avere il coraggio di parlare al pubblico per dargli strumenti di conoscenza non solo in casi emergenza ma anche quando sembra che quei fatti non incidano direttamente sul mondo”.

La riflessione finale abbraccia il mondo della comunicazione in senso più ampio. E il messaggio di Marco Damilano è preciso: “C’è spazio per tutti nel mondo della comunicazione ma le regole dovrebbero essere le stesse per tutti: il rispetto delle persone, non imprigionare le persone, usare parole giuste. Qui c’è il fondamento dello stare insieme”.