Martedì, 27 Luglio 2021 19:45

Film in concorso 27 luglio: il passato che dà la forza di costruire il proprio futuro

Proseguono senza sosta le proiezioni dei film in concorso per i giovani giurati del #Giffoni50Plus. Oggi in Sala Truffaut, dalle 10:00, i giurati della Generator +16 hanno visto l’intenso SOPHIE JONES (USA, 2020) esordio alla regia di Jessie Barr e presente in sala durante la proiezione. Il racconto di formazione della sedicenne Sophie, che dopo la morte della madre si trova a dover affrontare mille e all’apparenza insormontabili sfide, ha toccato la sensibilità di molti dei giurati che hanno apprezzato l’intensità del film, complimentandosi con la regista. Alessandro ha evidenziato quanto “sia stata scritta bene la storia” e come sia stato facile immedesimarsi nell’elaborazione del lutto della protagonista. “Lei si è trovata in una situazione del genere? E come è riuscita a trasporre così bene il lutto in un film?” ha chiesto poi alla regista americana. “Purtroppo – dichiara la Barr - ho vissuto personalmente questa situazione con la morte di mio padre, malato di cancro e morto quando io avevo 16 anni, l’età di Sophie. Nel film ho parlato anche del legame con mia cugina con la quale ci siamo supportate a vicenda – continua la regista - ho voluto, insomma, rappresentare la realtà insieme alla finzione”. Federico, invece, ha notato la bellezza dell’ultima scena: “Quella del mare, luogo di tranquillità e di pace che non si è mai separato da quel forte rumore che è la perdita di una persona cara: il silenzio che si contrappone ma allo stesso tempo si accompagna al rumore”. La giovane regista ha risposto all’osservazione precisando che: “Di solito non prescrivo emozioni, lascio la libertà di interpretazione allo spettatore. Il mare rappresenta per Sophie l’inizio di una nuova vita, ovviamente senza mai dimenticare i momenti con sua madre”. Federico poi aggiunge: “Il personaggio di Sophie qualche volta è discutibile, come per esempio nella scena del padre che chiede alle figlie un parere sulla donna che frequenta”. “Esatto – ha aggiunto la regista – quel momento del film è estrapolato dalla realtà. Io ho reagito così con mia madre quando mi ha presentato il suo nuovo compagno. Questo suo modo di essere poco comprensiva è dato dalla sofferenza che Sophie provava in quel momento. La ragazza era molto debole, ma voleva che si percepisse il contrario e lo faceva assumendo comportamenti “antipatici” ed autolesionisti. Usava, per esempio, l’erotismo per soffrire di meno”. Osservazione tecnica dei ragazzi dell’hub di Montescaglioso: “Perché ha usato la camera a spalla nel film?”. La regista ha spiegato che: “Il film è stato girato in quindici giorni e la mia intenzione era quella di trasmettere allo spettatore dinamicità. Ho usato la camera a spalla anche per mettere a proprio agio i giovani attori che erano alla prima esperienza. Poi credo sia più adatta una ripresa dinamica in una storia come quella di Sophie”.

Sempre alle 10:00, in sala Alberto Sordi gli Elements +10 hanno visto THE HOOP scritto e diretto dal regista turco Ahmet Toklu (Turchia, 2021) e che ha come protagonista il piccolo Ahmet, che decide di iniziare a lavorare in un minimarket vicino alla baraccopoli dove vive, dopo che suo padre è andato in Russia per lavoro ma che per molto tempo non è riuscito a inviare soldi alla sua famiglia. Innamoratosi della sua compagna di classe Kezban, Ahmet decide di imparare a giocare a basket quando scopre che lei ne è appassionata. La sfida di Ahmet è però ancora più ardua: oltre a far innamorare Kezban, il piccolo protagonista deve trovare un campo da basket, perché nel suo quartiere non ce n’è uno dove poter almeno iniziare ad allenarsi. Il film è piaciuto molto ai piccoli giurati, “soprattutto per la caparbietà del protagonista – dice Alessio – che sembra essere un supereroe… non si arrende mai!”

Le proiezioni sono ripartite nel pomeriggio, in sala Truffaut, alle 14:30, dove i Generator +13 hanno visto THE CITY OF THE WILD BEASTS (Colombia, 2021) scritto e diretto dal colombiano Henry E. Rincón, che torna per la seconda volta a Giffoni, dopo una prima partecipazione nel 2017. Una intensa storia di formazione, ambientata a Medellín, dove il giovane Tato, dopo la morte della madre, cerca di racimolare qualche soldo facendo musica rap e vivendo per le strade insieme ai suoi amici Pitu e La Crespa. Ben presto, a causa di persone che lo vogliono morto, il giovane lascia la città per cercare suo nonno, fioricoltore che vive in campagna. Dopo qualche scontro tra i due, nasce un legame fortissimo che porterà Tato a rivalutare il suo futuro e a fare scelte importanti. Il film è stato apprezzatissimo dai giovani giurati che hanno letteralmente inondato il regista presente in sala di domande, curiosità, riflessioni. “Ci sono tantissimi temi che ci hanno colpito – dicono i giffoners collegati dall’hub della Macedonia – come le contrapposizioni tra campagna e città, musica rap e canto popolare e soprattutto la convinzione che ad essere troppo buoni, a volte, non si viene ripagati come si merita”. Un altro tema del film è sicuramente lo scontro generazionale tra nuove e vecchie generazioni. “A volte noi giovani – dice Sonia – ci troviamo davanti alla difficoltà di capire gli anziani e allo stesso modo penso che loro abbiano tanto da insegnare”. Come si può trovare un punto di incontro? “Questo scontro è alla base del mio film – precisa il regista - sicuramente bisogna che queste due generazioni imparino a comunicare, perché molti giovani si trovano davanti a un bivio: rispettare la tradizione o lasciarla per seguire altre strade? Anche io ho vissuto un momento del genere – continua - mio nonno era calzolaio e io volevo fare cinema. Un bel giorno gli ho parlato e gli ho spiegato che volevo seguire la mia vocazione”.  Dall’hub di Ceccano i giurati chiedono quale sia stata la fonte di ispirazione di questo bellissimo film. “Molti aspetti mi hanno ispirato – racconta Rincón – sicuramente la scena rap di Medellín, che ho voluto indagare e raccontare, quasi come un documentario, per farla emergere con tutta la sua forza. Altre due fonti di ispirazione poi – precisa- sono sicuramente il concetto di tradizione e la figura di mio nonno, che hanno influenzato tantissimo la scrittura del film”. Una storia che racconta anche la violenza della città colombiana come precisa Benedetta. “Ho vissuto da giovane questa violenza – incalza il regista – che a Medellín è normale. Ho deciso di raccontarla per mostrare contro cosa devono combattere questi ragazzi ogni giorno per sopravvivere”. La gioia dei giurati investe il regista che spera di poter tornare (per la terza volta!) perché “il vostro entusiasmo è straordinario!”.

Alle 14:45 per la categoria Gex Doc, in sala Galileo è stato proiettato il docufilm CHILDREN (Israele, 2020) diretto e prodotto da Ada Ushpiz. I giovani palestinesi sono costretti a ‘crescere’ prima del tempo e per salvaguardare la loro libertà rischiano ogni giorno il carcere, non aiutati da una scarsissima assistenza legale. Le nuove generazioni vivono così in un contesto difficile e problematico, situazione che dimostra quanto sia necessario intervenire per diffondere legalità e diritti per tutti. 120 minuti non possono riuscire a spiegare tutte le problematiche presenti in Israele, ma forniscono una buona testimonianza del mai definitivo equilibrio della guerra sulla striscia di Gaza. “Sono particolarmente legata a questo lungometraggio - spiega la regista, nata ad Israele e testimone di terribili storie di guerra - perché mi permette di far conoscere la mia terra, i problemi che la affliggono e soprattutto le persone che la abitano”. Janna e Dima, due ragazze tanto diverse quanto legate al loro paese, all’interno del film affrontano il problema dei conflitti e della pace tanto agognata con due approcci diversi: “Janna è un’attivista – continua la Ushpiz - convinta nella forma di lotta con manifestazioni e atti di disobbedienza; Dima invece è una ragazza più riflessiva, che affronta il problema a modo suo. Scrive poesie e riflette sulla possibilità di un mondo diverso”. Lucia, giurata della categoria Gex Doc, ha mosso una riflessione: “In che modo la tecnologia aiuta i giovani a vivere la pace e la battaglia in queste zone di guerra?”. “Direi che la tecnologia serve – ribatte la regista - ma non la vedo come una cosa essenziale ai fini della pace e non credo ci si debba focalizzare sui mezzi di comunicazione e sulla condivisione”. Un altro spettatore, Giulio, ha chiesto se durante le riprese si siano state problematiche legate anche all’essere essere israeliana. “Per quanto riguarda le scene all’esterno – precisa la Ushpiz - non ho dovuto chiedere permessi o quant’altro stessa cosa per le scene nelle scuole del paese, invece negli istituti controllati dalle autorità palestinesi - conclude - ho chiesto delle autorizzazioni alle riprese con tanto di opera di convincimento”.

La giornata di proiezioni si chiude alle 19.30: in sala Lumière i Generator +18 hanno visto il duro DO NOT HESITATE (Grecia-Paesi Bassi, 2021) diretto dal venezuelano Shariff Korver. La vicenda racconta di tre giovani soldati che si ritrovano a fare da guardia ad un veicolo militare nel bel mezzo del deserto. L’incontro con un ragazzo del posto, con il quale nasce uno scontro, indurrà un cambiamento radicale delle loro vite. Ben presto si farà sentire il peso della solitudine e dell’incomunicabilità, spingendo i protagonisti, lentamente, quasi a disconnettersi dalla realtà. Un tema delicato e controverso, affrontato con emotività e maestria, che non ha lasciato indifferenti i giovani giurati +18.

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